«Molti giovani preferiscono restare a casa a guardare Netflix piuttosto che fare i camerieri o i cuochi nei ristoranti e negli alberghi. Oggi non c’è più voglia di lavorare, di piegare la schiena. Ai miei tempi….». Più che una risposta a un problema l’affermazione sopra citata è un automatismo mentale, una reazione veloce per liquidare il dilemma. L’unica soluzione sarebbe quella di sostituire il personale con dei robot. I robot sono più efficienti, più obbedienti e non si lamentano mai. Una seconda ipotesi sulla crisi attuale sarebbe da addebitare al Covid-19 che avrebbe favorito la fuoriuscita dal lavoro stagionale. Effettivamente la pandemia ha cambiato molte cose e ha messo a nudo la fragilità del lavoro stagionale. È possibile che molti lavoratori si siano «riciclati» in altri settori, magari con posizioni più stabili.
C’è chi addossa la causa al Reddito di cittadinanza che ha ridotto il numero di lavoratori disposti ad accettare lavori faticosi e poco remunerati. Se analizziamo i numeri del fruitori del Reddito di cittadinanza nella nostra Provincia la cosa non sta in piedi. Ora che il governo Meloni ha cancellato in buona parte il provvedimento «bandiera» dei Cinque Stelle avremo di nuovo frotte di giovani disponibili a lavorare nei nostri esercizi? Ne dubitiamo. Partiamo dalla constatazione che l’incontro tra domanda – offerta è più difficile di un tempo. Negli anni Sessanta era sufficiente valicare il passo San Pellegrino o scendere in Valle di Cembra per trovare giovani ragazze disposte a lavorare negli alberghi. Alcune erano così brave e belle che si sono accasate nelle nostre valli portando avanti la tradizione alberghiera. Negli anni Ottanta e successivi, per un imprenditore bastava attendere sulla porta dell’albergo candidati disposti a «fare la stagione». Erano uomini e donne del Sud, della Sardegna, della Puglia che risalivano lo Stivale.

Poi il vento cambiò e iniziarono i flussi dall’Est Europa visto che la domanda interna era diventata sempre più flebile. Diminuzione delle nascite, maggiore propensione allo studio, voglia di fare un’esperienza all’estero ha ridotto la platea dei giovani disponibili al lavoro stagionale. Contemporaneamente si è assistito a una minore presenza di persone adulte nel settore alberghiero. Il fenomeno nasce dalla difficoltà, oggi avvertita più che nel passato, di sviluppare adeguati progetti di vita (compatibilità con i bisogni della famiglia, livelli di reddito, reperimento di una abitazione…). Il fattore abitativo nelle nostre valli è cruciale e frena la presenza anche di professionisti (insegnanti, medici, infermieri, tecnici) di cui Fiemme e Fassa hanno estremo bisogno.
Da decenni l’edilizia pubblica è al palo, il costo degli immobili continua a salire ed è sempre più difficile, per albergatori ma anche per le amministrazioni pubbliche, trovare adeguati spazi abitativi dove accogliere il personale. Che fare? Non esiste la soluzione miracolosa, ma buone prassi che possono incidere sul problema. Pubblico e privato uniti per una migliore accoglienza, abitazioni innanzitutto, servizi per la famiglia e una rete capace di coinvolgere i nuovi arrivati. Disponibilità a modulare un’offerta di lavoro più lunga rispetto a quella attuale puntando a mantenere esercizi alberghieri e ristorazione aperti oltre ai classici periodi invernali ed estivi. La destagionalizzazione, di cui tanto si parla, aiuterebbe. Poi contrattare redditi, orari e condizioni di lavoro più allettanti e in generale inventarsi un nuovo rapporto con i dipendenti. Purtroppo le strutture turistiche marginali, economicamente fragili e senza un’adeguata cultura professionale, saranno quelle che troveranno maggiore difficoltà a superare l’ostacolo.
Gilberto Bonani