Storie parallele di due grandi atlete

Pubblicato nel 2012

Due storie, due discipline, due percorsi differenti. Ma in comune Cristina Paluselli e Lidia Trettel hanno molto. Innanzitutto, due date: entrambe sono nate nel 1973 e entrambe hanno smesso di gareggiare nel 2006. Ma a unirle c’è anche lo stesso approccio allo sport, inteso come passione e correttezza. Approccio che entrambe vorrebbero trasmettere ai piccoli atleti: Lidia è insegnante da anni, mentre Cristina sta seguendo ora il corso per maestri di sci.

La Trettel ha per ora lasciato le nevi della natia Fiemme per insegnare in Val di Sole, a Daolasa in inverno e in Francia sul ghiacciaio Les Deux Alpes in estate. È stata la prima donna italiana a vincere una medaglia olimpica nello snowboard, un bronzo a Salt Lake City nel 2002. Lidia si è avvicinata alle piste con gli sci da discesa, abbandonandoli quando vide un ragazzo scendere con la tavola ai piedi: «Sembrava danzasse sulla neve», racconta.

La Paluselli, invece, nel fondo ha portato a casa una medaglia di bronzo ai Mondiali nel 2001, ma i risultati migliori sono arrivati sulle lunghe distanze: due edizioni della Marcialonga e una Vasaloppet vinte. E la granfondo di Fiemme e Fassa è ancora nel cuore dell’atleta di Tesero che si ripromette di parteciparvi nei prossimi anni: «Nel 2008 l’ho fatta con un gruppo di amici. Ero fuori allenamento e non stavo bene: ci abbiamo impiegato 8 ore. È stato più faticoso che farla agonisticamente. La prossima volta dovrò essere più preparata».

Cosa significa essere donna nel mondo dello sport?

Cristina: Chiaramente le peculiarità femminili emergono anche nello sport, come in tutti gli altri luoghi di lavoro. E dove ci sono tante donne, spesso si creano invidie e inimicizie. Gli uomini litigano, si dicono le cose in faccia e poi continuano ad essere amici. Le donne al contrario tante volte covano in silenzio amarezze e antipatie e questo può creare dei climi non sereni. Inoltre, l’essere donna comporta anche delle rinunce: io non sarei mai riuscita a farmi una famiglia mentre gareggiavo. Essere mamma e atleta significa stare lontano dai figli per molti giorni e io non me la sarei mai sentita. In altre culture, come quella russa per esempio, è naturale che i bambini crescano con i nonni, ma per noi è più difficile. Per un uomo, anche se pure lui sente la nostalgia della famiglia, è diverso: è più facile partire per gli allenamenti e tornare dopo qualche giorno.

Lidia: Io non ho mai voluto vedere lo sport come una questione legata al sesso. Siamo tutti atleti, indipendentemente dall’essere uomo o donna. Ma forse io non mi sono mai posta l’obiettivo di una famiglia mentre gareggiavo: avevo i miei obiettivi agonistici e non pensavo ad altro. Inoltre, credo che l’ambiente dello snowboard sia diverso: è prevalentemente maschile e allenamenti e trasferte sono uniche, non separate per sesso. La presenza degli uomini credo mitighi le situazioni che potrebbero crearsi in un gruppo esclusivamente femminile. Lidia insegna già, Cristina sta frequentando il corso per diventare maestra di sci.

Al di là della tecnica, cosa vorreste riuscire a trasmettere ai vostri allievi, soprattutto ai più piccoli?

C.: Ai bambini io vorrei trasmettere la correttezza e l’idea che lo sport è importante a prescindere dai risultati. Non è necessario diventare campioni: ciò che conta è non perdere la voglia di praticare la disciplina preferita.

L.: Lavoro con la scuola 6punto9: una realtà che non si limita all’insegnamento, ma che organizza anche altre attività e che ha un approccio molto interessante. Spesso noi vorremmo che lo sport per i bambini fosse un gioco. La verità è che per loro è una cosa terribilmente seria. Ciò che vorrei riuscire a trasmettere è che per raggiungere qualsiasi obiettivo servono impegno e tenacia, che senza fatica non si arriva da nessuna parte e che non bisogna mollare alla prima difficoltà.

Avete abbandonato le gare entrambe nel 2006. Ripensando alla vostra carriera, qual è stato il successo maggiore?

C.: L’ultimo anno di gare è stato quello che mi ha dato i risultati migliori: nella stessa stagione ho vinto la Marcialonga e la Vasaloppet.

L.: Sicuramente la medaglia alle Olimpiadi: era il mio sogno fin da ragazzina, da quando ho assistito ai festeggiamenti in piazza a Ziano per le vittorie dei fratelli Vanzetta. Ai tempi praticavo ancora discesa, ma è stato è lì che ho cominciato a sognare i Giochi olimpici. Quando ho vinto il bronzo, non vedevo l’ora di tornare a casa per essere al posto di Giorgio sul palco in mezzo alla piazza: è stata un’emozione grandissima.

E il maggior rimpianto?

C.: Quando ero in squadra A ho avuto tante amarezze, mentre gli anni nella squadra delle lunghe distanze sono stati i più belli.

L.: Nel 2006 mi sono rotta il crociato e non sono riuscita a recuperare per partecipare ai Mondiali dell’anno successivo. Ma forse non si tratta di un vero e proprio rimpianto: credo che le cose non succedano mai per caso e forse non mi sono impegnata abbastanza per riprendermi. Dire basta alle gare è difficile: forse l’infortunio è stata la scusa per riuscire a smettere.

Lidia ha detto di aver sognato per anni di essere al posto di Giorgio Vanzetta sul palco del vincitore. È stato importante per voi essere cresciute in una valle che ha visto nascere tanti campioni?

C.: Io non ho mai avuto un mito, ma i grandi nomi dello sport fiemmese mi hanno dato un aiuto indiretto: senza di loro forse la Valle non si sarebbe mai vocata allo sport.

L.: Credo che per i giovani sia importante avere dei miti positivi. I campioni hanno una grande responsabilità perché devono dare l’esempio. Da questo punto di vista penso che Fiemme sia stata fortunata perché ha avuto degli ottimi atleti non solo dal punto di vista agonistico, ma anche umano.

Lidia nel 2006 non poté partecipare alle Olimpiadi di Torino perché una sua compagna di squadra non convocata fece ricorso al Tribunale sportivo. A quel punto la Fisi decise di lasciare a casa Lidia che accettò la decisione nonostante alla base ci siano state motivazioni non legate alle capacità delle atlete. Anche alla luce di questo episodio, cosa significa per voi sportività?

L.: Di quel fatto mi è rimasta l’amarezza perché a vincere non è stato lo sport. Credo che sportività significhi fare ciò che è nelle proprie possibilità, non pensare di essere un talento naturale, ma allenarsi per raggiungere i risultati che uno può ottenere, conoscendo i propri limiti e consapevoli che a volte si possono superare e a volte no.

C.: Concordo con Lidia. Vorrei aggiungere solo una cosa: uscendo dall’ambito agonistico, credo che sportività significhi fare sport per il gusto di farlo.

La Valle si appresta a ospitare il terzo Mondiale. Come avete visto cambiare Fiemme dal ’91 a oggi?

C.: Ho assistito alle gare del Tour de ski e devo dire che sono stata molto felice di vedere il clima di festa che gli organizzatori sono riusciti a creare. Sono state previste molte attività di contorno che hanno richiamato un pubblico numeroso. Ricordo che i primi anni alle gare assistevano pochi appassionati: vedere tanta gente lungo la pista è stato emozionante. Si è davvero riusciti a creare l’evento.

L.: Credo che la Valle si stia adeguando alle nuove tecnologie e a un mondo in continuo cambiamento. L’impegno deve essere quello di guardare sempre avanti avendo anche il coraggio di cambiare.

C.: Credo che Fiemme, rispetto ad altre valli a vocazione turistica, sia molto viva e attenta al residente e non solo al villeggiante. Abbiamo la fortuna di vivere in paesi molto attivi anche fuori stagione.

Monica Gabrielli

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