La via è lunga ma Amelie Tonini e Gianmarco Fraschetta ce la stanno mettendo tutta per percorrerla al meglio. Entrambi nati a Cavalese (lei nell’ottobre 2004, lui nel novembre 2006), hanno lasciato la valle per continuare a crescere da un punto di vista sportivo: Amelie è volata in Canada dove gioca in una hockey academy con ragazze della sua età e dove ambisce a trovare in futuro una borsa di studio per giocare in una squadra universitaria; mentre un college ad Aosta vede Gianmarco impegnato nel realizzare il sogno di diventare giocatore professionista.
Due storie parallele, unite dalla comune passione per disco e bastoni. Con una sostanziale differenza: Amelie deve respingerlo mentre Gianmarco deve spararlo in porta. Lei portiere, lui attaccante, entrambi di grandi speranze. Il primo tiro che Amelie Tonini ha dovuto deviare è stata la diffidenza materna nei confronti dell’hockey ghiaccio.
«Ho iniziato a giocare a nove anni ma in realtà mi sarebbe piaciuto iniziare prima, spinta dal fatto che mio fratello e tutti i nostri amici già lo praticavano. Mia mamma era però contraria all’idea e così mi ha fatto provare tutti gli sport possibili in valle fino a quando si è arresa e ha acconsentito», rivela scherzosamente la diciassettenne di Cavalese, iscritta al locale Liceo delle Scienze Umane ma che, nel segno della sua passione sportiva, sta frequentando l’anno scolastico 2021-2022 alla Convoy Academy di Utopia, nell’Ontario.
Il Canada è uno dei Paesi dove l’hockey ghiaccio è praticamente una religione: com’è nata questa possibilità?
«La scorsa estate ho trascorso alcune settimane in Repubblica Ceca dove ho conosciuto molti ragazzi e ragazze che hanno vissuto esperienze simili. Mi sono allora detta: “Perché non provare?”. Così al rientro ho contattato un paio di squadre e di allenatori canadesi tra cui un coach che è stato così gentile da mettermi in contatto con il suo collega della Convoy Academy che ha accettato di accogliermi. Rimarrò qui fino al prossimo aprile. La speranza è di tornarci ancora e presto: se sono fortunata per iniziare a studiare in una università, altrimenti per un altro anno di sviluppo».
Nessuna nostalgia della Val di Fiemme?
«La Val di Fiemme è il posto in cui sono nata e cresciuta, sono molto legata a questi luoghi e alle persone che ci vivono. Devo anche moltissimo al mio club dove ho cominciato e dove sono cresciuta nelle giovanili e nella squadra femminile. Tre anni fa ho però sentito il bisogno di cambiare aria e cercare nuove esperienze, così ho deciso di andare a Caldaro: sono stato felicissima di questa decisione perché mi ha permesso di incontrare persone fantastiche, a partire dal coach dei portieri Filip Landsman».
La passione era tale che i vecchi ultra 40enni delle squadre master della valle la chiamavano per fare il portiere durante gli allenamenti e le partitelle e lei era sempre disponibile…
A questo proposito: perché hai scelto questo ruolo particolare?
«Forse per via di quell’attrezzatura così affascinante… Scherzi a parte, non lo ricordo proprio. Però posso dire di essermi subito divertita a giocare in porta e così ho deciso di rimanerci: il divertimento è la molla che mi fa dare il meglio in pista e che mi aiuta anche a sopportare certi sacrifici».
Nel tempo lasciato libero da studio e allenamenti hai qualche altra attività che ti diverte?
«Mi piace leggere, fare giocoleria e stare con le mie compagne di squadra. Ma giocare a hockey ghiaccio è per me davvero il massimo».
Cosa rispondi a chi non lo considera uno sport per ragazze?
«L’idea che l’hockey, come peraltro ogni altro sport, sia strettamente legato a un genere è antiquata. Non importa se sei maschio o femmina: se hai il desiderio di provarci, hai il diritto di farlo. L’hockey ghiaccio mi sta regalando esperienze incredibili e devo ringraziare tutti quelli che mi hanno dato e mi danno una mano a continuare a viverlo. A partire da mia mamma alla quale mando un ringraziamento speciale per avermi sempre sostenuto, dopo aver avuto la certezza che era proprio quello che volevo».
Anche per Gianmarco Fraschetta quello con l’hockey ghiaccio è stato un vero amore a prima vista: «A 6 anni ho visto una partita del Fiemme e ho subito chiesto ai miei genitori di poter iniziare», racconta la quindicenne promessa azzurra. «Ho giocato quattro anni proprio nelle giovanili del Fiemme, poi sono passato al Caldaro e quindi all’Appiano. Al termine della terza media, sono venuto a conoscenza del progetto HLAB – la Hockey Languages Academy Boarding – e ho così deciso di trasferirmi ad Aosta. È un college che nasce dalla collaborazione tra l’Hockey Club Aosta Gladiators e il Liceo Linguistico di Courmayeur per consentire di conciliare lo studio con l’attività agonistica.
Siamo in 16 a farne parte, inclusa una ragazza, e io sono il più piccolo di tutti: l’anno scorso, appena mi sono trasferito da Cavalese, ho avuto qualche momento di difficoltà ma mamma e papà mi hanno aiutato a superarlo. Ora mi trovo benissimo: l’HLAB è per me diventata una seconda famiglia dove tutti si aiutano a vicenda e dove ognuno deve rispettare certi obblighi, come per esempio il fatto che dobbiamo lavarci da soli gli indumenti personali. Il vero impegno però sta nel riuscire a conciliare studio e allenamento perché avere un buon rendimento scolastico è la priorità».
Ci racconti una tua “settimana-tipo”?
«Dal lunedì al venerdì mi sveglio ogni giorno alle 6 per andare a scuola in bus da Aosta a Courmayeur, con circa un’ora di viaggio. Tre giorni la settimana esco alle 11,30 per tornare ad Aosta e fare allenamento individuale dalle 13 alle 14, prima di pranzare, tornare al college per studiare e poi fare lavoro a secco in palestra. Negli altri due giorni seguo invece le lezioni come tutti i miei compagni fino alle 16,30 prima di tornare ad Aosta per andare direttamente al Palaghiaccio. E ogni sera, sempre dal lunedì al venerdì, mi alleno con la squadra Under 17 o con l’Under 19, per cui a volte mi ritrovo ad aver fatto tre ore sul ghiaccio prima di rimettermi a studiare. Nel weekend ovviamente abbiamo le partite che spesso prevedono lunghe trasferte in Veneto, in Trentino e in Alto Adige».
Un bel tour de force: cosa ti aspetti da questi sacrifici?
«Di diventare un giocatore professionista. Quando sono sul ghiaccio, mi sento davvero bene e questo mi dà l’energia per affrontare gli impegni scolastici. Dedico un’ora la settimana anche ad aiutare un gruppo di bambini dai 5 agli 8 anni nell’avviamento all’hockey. Mi fa pensare a quando ho iniziato e mi fa capire che sono sulla strada giusta per andare avanti nel mio sogno».
Un sogno che si spinge fino a Milano-Cortina 2026?
«Con la Nazionale Under 16 ho già provato emozioni bellissime, quindi sarebbe fantastico indossare la maglia azzurra ai Giochi invernali organizzati proprio in Italia. Per il momento penso però solo a continuare a migliorarmi dal punto di vista tecnico e a sviluppare quella velocità che fa la differenza per un attaccante come me. Il mio idolo nella NHL è il canadese Connor McDavid degli Edmonton Oilers: riuscissi ad avere anche solo un decimo della sua abilità, potrei anche andare alle Olimpiadi».
Un pensiero per la Val di Fiemme?
«Quello c’è ogni giorno: lì ho i miei genitori e tanti amici. E ogni tanto penso anche che sarebbe bello se in Val di Fiemme sorgesse un college come questo di Aosta: non per mia comodità, ovviamente, ma per il movimento dell’hockey ghiaccio in Trentino».
Paolo Corio