Riportiamo l’intervista degli studenti delle classi 2A e 2B delle scuole medie di Tesero e della 2D delle medie di Cavalese, guidati dal professore di educazione musicale Giordano Reggé nell’ambito di un progetto di educazione alla cittadinanza, a uno dei grandi nomi del jazz italiano ed europeo. Franco D’Andrea – nato a Merano e da diversi anni cittadino onorario del Comune di Ziano di Fiemme, dove trascorre le sue vacanze – ha chiacchierato volentieri con i ragazzi, condividendo con loro aneddoti ed episodi della sua lunga vita da musicista. Riportiamo volentieri l’intervista.
Com’è iniziato il suo rapporto con la Val di Fiemme e perché ha deciso di passare qui le sue vacanze?
Vengo in Val di Fiemme da quasi 40 anni. Ci sono venuto perché mia moglie era appassionata di montagna. Io, pur essendo nato a Merano, inizialmente non avevo un grande interesse. Fin da subito però ci siamo messi a fare delle escursioni e lentamente sono diventato anch’io un buon camminatore. Col tempo ho cominciato a conoscere alcuni personaggi della valle che suonavano jazz, alcuni fra questi interessati ad approfondire l’argomento e con i quali poi sono diventato amico.
Come cambia il pubblico della val di Fiemme rispetto ad altri?
In Val di Fiemme c’è una grande cultura musicale. Tesero, in particolare, è un centro importantissimo per la musica. Ci sono un’importante scuola e una banda di grande livello che qualche volta sono andato ad ascoltare. È quindi logico che ci siano persone competenti in grado di capire una cosa complessa come il jazz.
A quanti anni ha iniziato a suonare? Ha iniziato subito dal pianoforte?
Ho iniziato piuttosto tardi, all’epoca della scuola media. Tutto iniziò con un mio compagno di classe particolarmente insistente che, in una giornata brutta in cui non potevamo uscire in bicicletta (altra mia passione), mi spinse ad ascoltare un disco jazz su pressione di suo fratello che era il vero appassionato. Ascoltammo un disco di Louis Armstrong e quella musica mi piacque così tanto da indurmi ad acquistare una cornetta, un tipo di tromba che anche Armstrong suonava. Quello fu il mio vero inizio. Quel tipo di jazz chiamato swing aveva qualcosa in comune con le bande con un ritmo però molto speciale, più agile e flessibile e meno marziale, ritmo che proveniva dall’Africa occidentale. Dopo la tromba ho suonato altri strumenti a fiato e, successivamente, mi sono interessato ad un jazz più complesso e, per approfondire l’armonia, ho messo le mani sul pianoforte di casa. Mio nonno e mia mamma ogni tanto suonavano delle arie d’opera, mia mamma addirittura aveva studiato fino all’ottavo anno di conservatorio. Da quel momento sono diventato un pianista.
Ha avuto il sostegno dei suoi genitori quando ha deciso di intraprendere questa strada? Inizialmente non sono stato molto sostenuto. Mia madre aveva studiato musica classica e quindi non conosceva molto il jazz, che non le sembrava una musica seria. In più, in famiglia avevano paura che io prendessi una brutta strada, dato che si parlava molto di questa musica associata alla droga, come se fossero una diretta conseguenza l’una dell’altra. Mi fecero perfino parlare con il parroco, il quale mi descrisse il jazz come una musica del diavolo. Piano piano, però, mia madre e i miei nonni si accorsero che tutto sommato questa musica potesse essere presa sul serio a patto che tutto ciò non interferisse con la scuola. Del jazz mi piaceva e mi piace questo sua caratteristica intercontinentale. C’è sicuramente una componente armonica europea, un ritmo che ha origine nell’ovest e nel centro dell’Africa, luoghi che ho anche visitato, e poi la sintesi avvenuta negli Stati Uniti nella zona di New Orleans. È una musica che ha influenzato molto quello che è venuto dopo. Io la definisco sempre musica dell’Oceano Atlantico perché, attraverso questa sintesi internazionale, la prima mai avvenuta nella storia, ha prodotto un risultato a cui hanno partecipato tante culture ed etnie diverse.
Fra tutti i posti in cui ha suonato, quale luogo ricorda con più piacere?
È difficile dirlo perché ho suonato in tutto il mondo, mi manca solo la Cina. Ho suonato in Australia, in Russia, negli Stati Uniti, in ogni punto dell’Europa. Dal punto di vista della comodità e dell’efficienza, devo dire che in Giappone ho trovato i fonici migliori del mondo. Il pubblico del jazz invece si assomiglia molto ovunque.
Ci sono dei musicisti a cui si è ispirato?
I primi artisti che mi hanno influenzato sono stati Louis Armstrong e Gerry Roll Morton. Quest’ultimo è stato insuperabile anche dal punto di vista dell’orchestrazione, dell’arrangiamento e della composizione, ma dobbiamo anche ricordare la sua particolare antipatia nel considerarsi il più bravo di tutti: certamente non aveva torto. Tuttavia, mi è rimasto nel cuore Louis Armstrong. Pur essendo meno dotato dal punto di vista della conoscenza della musica, aveva invece una capacità comunicativa unica unita alla maestria nel suonare la tromba e a un senso dell’improvvisazione straordinario. Questi due musicisti sono stati secondo me i fondatori del jazz. Tornando a ciò che mi è piaciuto e che mi ha influenzato, ho ascoltato molto volentieri Miles Davis, altro trombettista. Ho ascoltato tanti pianisti nella mia vita, il mio consiglio è sempre quello di ascoltare tutto quello che c’è di buono negli artisti di un certo livello. Per questo motivo ho apprezzato in maniera particolare alcune cose di svariati musicisti e poi ho unito tutti questi pezzettini. Ho iniziato da piccolo ascoltando il Bebop, poi Bill Evans, Herbie Hancock, quest’ultimo lo considero il pianista più completo che abbia mai conosciuto. Per un certo periodo suonò anche con Miles Davis, aveva circa vent’anni. Lo ascoltati in Francia durante un festival in cui anche io suonavo e mi impressionò molto. È un pianista poliedrico, che nella sua vita si è anche avvicinato alla musica elettronica e alcuni dei suoi dischi sono davvero memorabili.
Con quali strumenti preferisce suonare in gruppo?
Mi piace avere vicino degli strumenti a fiato, avendo io iniziato proprio da questi. Negli anni
’80 suonavo ad esempio con un sassofonista bravissimo, Tino Tracanna, poi più recentemente ho suonato con Andrea Ayassot, con il quale tra l’altro ho fatto anche un concerto a Ziano di Fiemme. Poi un percussionista, anche lui parte di un quartetto, Zeno De Rossi. Ho però avuto anche gruppi più vasti, ad esempio un sestetto in cui c’era anche clarinetto e trombone. Recentemente ho avuto un ottetto in cui, a questi musicisti, si aggiungevano un chitarrista e un musicista che suonava la parte elettronica. Non c’è comunque uno strumento che non mi piaccia, ad esempio, anche il violino, che non è particolarmente votato al jazz, se suonato bene è veramente interessante. Consiglio l’ascolto di Jean-Luc Ponty. Negli anni ’90 poi ho avuto un gruppo molto numeroso di undici elementi, tra cui anche una viola, che è uno strumento che mi piace moltissimo per via del suo registro. In conclusione, possiamo dire che nessun strumento sia estraneo al jazz, dipende da come lo si suona. Gli strumenti che hanno invece più difficoltà ad entrare nel linguaggio jazzistico sono quelli che hanno poca dinamica. Il sistema di accentazione e il fraseggio, che potremmo descrivere come un’onda, creano una sorta di poliritmia e alcuni strumenti come l’oboe, il fagotto e il controfagotto, quindi ad ancia doppia, fanno particolarmente fatica ad avere una dinamica ampia.
Nel mercato musicale attuale, ha degli interessi al di fuori del jazz? Se sì, ha stima per qualche musicista in particolare?
Trovo che Lady Gaga sia una cantante molto forte. Ha dei mezzi vocali straordinari. Bisogna però ascoltare varie cose che ha fatto, non solo i grandi successi. Conosce il jazz e ha fatto un grande duetto con Tony Bennett in cui canta il jazz e dimostra di padroneggiarlo benissimo. Questo vuol dire che il jazz ha influenzato tutti, anche Lady Gaga che sembra al contrario così lontana. Ci sono poi altre cose che mi piacciono molto. Ad esempio, sono stato molto influenzato dalla musica dell’Africa occidentale e centrale e citerei un musicista, Kakraba Lobi, che suona il balafon, simile al nostro xilofono. Suona una musica che si basa prevalentemente sulla scala pentatonica. Curiosamente, però, ascoltando questi strumenti, si ha la sensazione che non siano temperati. Sono anche molto innamorato della musica europea del ‘900: Debussy, Ravel, Stravinsky, Schoenberg, Boulez, Ligety.
Come sta passando questo periodo in cui si è obbligati a stare in casa?
Accidenti, è un guaio! Non si possono fare concerti, ma si può continuare a studiare e a preparare le cose che si potranno fare quando tutto questo sarà finito. Sono quindi ottimista che presto torneremo alla vita di sempre e potrò tornare finalmente in Val di Fiemme.
Gli studenti ringraziano il Maestro Franco D’Andrea per la sua disponibilità e colgono l’occasione per augurargli uno splendido ottantesimo compleanno, traguardo raggiunto l’8 marzo. Sperano di incontrarlo in val di Fiemme al più presto. Da parte loro un ringraziamento anche all’ufficio stampa Gaito.
Credits foto: ┬®Fondazione Musica per Roma _ foto Musacchio-Iannello-Pasqualini
