I “miei” 6 gradi di Giobbe Covatta

Con i suoi “6 gradi” è riuscito a strapparci alcune sane risate venerdì sera al teatro comunale di Predazzo, il vecchio Giobbe Covatta, un po’ canuto e con un improbabile codino a coprirgli parzialmente la pelata. Sembrava che fosse passato quasi per caso a Predazzo e sbattuto sul palco con un palloncino azzurro a mo’ di Terra e una lavagna (credo che fosse proprio quella che avevo in classe io alle Elementari), servito da un microfono bizzarro che ogni tanto gracchiava mettendo alla dura prova la comicità che Covatta ha dentro di sé e che riesce a manifestare al meglio proprio quando deve improvvisare, per un imprevisto appunto. Insomma, ci sa fare.

Tuttavia, credo che sia stata la sua napoletanità, più del testo, a strappare le risate più spontanee, immediate, proprio perché “non mediate” da un testo comunque coinvolgente, con battute salaci che non hanno risparmiato niente e nessuno, come nel suo stile, già apprezzato l’altr’anno a Predazzo. Ha guardato il nostro mondo, le nostre debolezze e ipocrisie, la politica, le relazioni quotidiane, la società dei consumi, con la lente del 2120, intercalando battute e ammonimenti sul cambiamento climatico. Facendo domande retoriche sul clima, le correnti calde e fredde, i monsoni etc. e andando subito alla lavagna a spiegarcelo con un ironico: “ma voi non sapete proprio nulla”.

Hella - We design cool shadows

Fra una battuta e l’altra qualcosa però l’abbiamo imparato tutti sul destino della Terra, grado per grado, dai 16,9 (temperatura media attuale) ai 23 gradi quando quel pallone blu, col disegno dei nostri continenti è scoppiato con un semplice spillo.

Ecco, quello spillo siamo noi, oggi, è sembrato dire, muoviamoci prima di arrivare alla fase di “non ritorno”, quando anche se non produrremmo nemmeno un grammo di anidride carbonica o di altri gas serra, non ci sarà più niente da fare perché il global warming sarà inerziale. Così ha “lasciato” andare il pubblico, un po’ divertito e forse un po’, ma credo solo un po’, pensieroso, a vedersi almeno un pezzo di Sanremo. Non sia mai che ce lo perdiamo, il Festival, dico!

La foto: il teatro è un altro, ma la scena è la stessa

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