Pubblicato nel 2011
Due caratteri diversi, ma la stessa stoffa da campioni. L’uno grintoso, l’altro introverso. Ad accomunarli un’amicizia nata sugli sci e durata una vita. Sono Franco Nones e Giulio Deflorian, due nomi che hanno fatto la storia dello sci di fondo valligiano, italiano e internazionale. Il primo, campione olimpico nel 1968 a Grenoble, ricorda il secondo, che quell’anno arrivò quinto. Fu un’impresa: due italiani nei primi cinque non si erano mai visti in uno sport dove fino ad allora contavano soltanto gli scandinavi e i russi. Deflorian è morto nel febbraio del 2010: non ha fatto in tempo a vedere il terzo mondiale della Valle di Fiemme. Nones, instancabile e sempre attivo, lo ricorda e ripercorre le tappe della loro lunga amicizia.
Franco Nones e Giulio Deflorian: una carriera a fianco a fianco. Come vi siete conosciuti?
Di nome lo conoscevo da molto tempo, ma il primo incontro avvenne quando io entrai nella Guardia di Finanza. Lui, classe ’36, aveva qualche anno in più di me che sono nato nel 1941. Lui e De Dorigo avevano già molta esperienza, conoscevano il mondo scandinavo e io avevo molto da imparare da loro. Nel ’61 abbiamo cominciato a gareggiare insieme. Ma non eravamo solo compagni di squadra: tra tutti noi c’era una grande amicizia. Certo, ognuno cercava di vincere, ma siamo sempre stati leali l’uno con l’altro. All’epoca non c’era uno skiman per ogni atleta e ci arrangiavamo da soli a sciolinare gli sci, dandoci consigli e opinioni sincere sui prodotti migliori. Non ci si nascondeva nell’allenarsi, ma lo si faceva insieme. Questo spirito lo ritrovo ancora oggi nella squadra norvegese: tutti vogliono battere l’altro, ma non si fanno la guerra e sono pronti a tirarsi indietro per il bene della squadra. Ed è questo lo spirito che dovrebbe caratterizzare gli atleti. Per esempio, dopo la mia medaglia d’oro, gli inviti e i vantaggi sono arrivati per tutto il gruppo italiano, non solo per me.
Ricorda qualche episodio particolare della vostra amicizia?
È stato un rapporto basato sul quotidiano, sulle cose normali di tutti i giorni. Ci siamo sentiti fino a due giorni prima della sua morte, ma non abbiamo mai fatto qualcosa fuori dalla normalità. La nostra era un’amicizia caratterizzata dal buon vivere, dall’essere contenti dei successi dell’altro. Io posso dire che da lui ho imparato molto: non perché si sia fermato a insegnarmi qualcosa, perché penso che nella vita sia necessario essere bravi a rubare il mestiere, copiando da chi è più bravo.
Due caratteri i vostri molto diversi.
Senza dubbio. Lui era un grande stilista, uno che riusciva a capire la gara. Quando perdeva si arrabbiava con sé stesso, non con il vincitore. Era una di quelle persone che fanno bene alla squadra. Io ero molto più reattivo, forse anche più nervoso. Mi piaceva vincere anche negli allenamenti, non mi sono mai accontentato. Non riesco a dire: “Sono arrivato”, perché non siamo noi a decidere quando siamo davvero arrivati. Ho cominciato a fare il commerciante che ero ancora un’atleta e poi ho sempre voluto fare qualcosa di nuovo. Non riesco a fermarmi. Giulio invece era diverso e forse per questo suo essere così introverso non è stato capito fino in fondo.
Cosa intende dire?
Deflorian è stato per la Valle di Fiemme una di quelle persone che hanno dato tanto e che forse, a causa di un carattere poco espansivo, non hanno ricevuto i riconoscimenti che meritavano. Da sempre, nelle mie interviste, cercavo di parlare di lui. Ricordiamoci che ha vinto un bronzo ai campionati mondiali nel 1962: ora è facile arrivare al terzo posto, ma allora eravamo dei pellegrini in giro per il mondo. Dopo aver smesso di gareggiare, lui si è defilato. Dentro di me, però, penso che forse aveva bisogno di Monica Gabrielli essere preso per mano e stimolato. Un atleta come lui che ha fatto la storia dello sci di fondo avrebbe potuto dare ancora molto. Purtroppo non tutti hanno l’ambizione o la voglia di voler essere sempre presenti, ma forse si poteva fare qualcosa di più per coinvolgerlo. L’anno dei primi mondiali assegnati alla Val di Fiemme c’era, però, anche lui allo stadio: emozionato e consapevole di essere una fetta di quello che stava succedendo. E a proposito di Mondiali.
Quarant’anni fa lo avreste immaginato che Fiemme sarebbe arrivata tanto lontana?
In un certo senso la storia dei Mondiali della Valle è cominciata proprio nel 1968 a Grenoble, con i nostri primo e quinto posto. D’altronde all’epoca la maggior parte dei fondisti era fiemmese o viveva qui perché membro della Guardia di Finanza o della Polizia. Già nel 1969 Castello ha ospitato una gara di coppa del mondo (che all’epoca non era ancora chiamata così) a cui hanno partecipato tutte le medaglie d’oro delle Olimpiadi. Pensiamo poi alla Marcialonga e al Trofeo Topolino. Chi, nel 1988 a Istanbul, ci ha dato il voto per il primo Mondiale, sapeva che non eravamo secondi a nessuno nell’organizzazione di eventi sportivi. E la fiducia è stata confermata tre volte in ventidue anni, fatto mai successo.
Come è cambiato l’approccio allo sci di fondo da parte dei giovani atleti in questi quarant’anni?
All’epoca non c’erano molte possibilità. Non c’erano impianti per lo sci da discesa e chi voleva sciare doveva andare a Lavazè a piedi. Quando non c’era la neve, io mi allenavo vicino all’Avisio sulla brina. Proporlo oggi a qualcuno vorrebbe dire farsi dare del pazzo. Ciò che però non è cambiato e che mai cambierà è che chi vuole fare sport non deve aver paura di fare fatica. Bisogna farlo con piacere, sapendo che il sudore è l’unica via per il successo.
Per concludere, un augurio alla Valle di Fiemme che si prepara al suo terzo Campionato del mondo.
Siamo gli unici ad aver ottenuto tre Mondiali. Ora bisogna fare in modo che lo sviluppo che ne deriva non venga rallentato dalla burocrazia. Si dice che bisogna prendere la palla al balzo: ricordiamoci che quando la palla non salta più, non la si può più prendere. Quindi, io mi auguro uno snellimento della burocrazia per aiutare chi ha voglia e coraggio di investire.e fare qualcosa di nuovo. Forse non è un problema esclusivo di queste zone, ma è importante guardare cosa succede a casa nostra, non altrove. La Valle offre già moltissimo a chi viene a trovarci, ma si potrebbe fare ancora di più.
Monica Gabrielli
