Mai come quest’anno non mi è pesato lasciare alle spalle una giornata di sole e imbucarmi in una sala cinematografica per seguire la terza giornata della rassegna cinematografica trentina finalmente sul grande schermo, dove nel primo pomeriggio abbiamo scelto di seguire nella sezione “Proiezioni speciali” il documentario di Kevin McMahon dal titolo “La taiga. Le foreste del grande nord”, un ritratto, per noi inaspettato, della foresta boreale che attraversa America, Russia, Europa e Giappone.
La più importante del pianeta per il carbonio che immagazzina e per il futuro del clima globale. Eppure, tutti siamo concentrati sulla foresta amazzonica. La taiga brucia, ma la lasciano bruciare perché è l’unico modo per rinnovarsi. Semprechè com’è accaduto recentemente, il fuoco non distrugga centinaia di abitazioni invadendo le zone abitate. Davvero interessante e raccomandato.
Per la seconda proiezione avevamo previsto di vedere “Capaci di volere” della poetessa badiota Roberta Dapunt sul tema dei migranti, ma un parere raccolto, non del tutto positivo, ci ha fatto orientare sulla nostra prima occasione di seguire “Destinazione Groenlandia” il paese ospite della 69° edizione del Festival.
Non prima di rispondere alle domande di due ragazze che intervistavano i presenti chiedendo: cosa le viene in mente se le dico Groenlandia? Una grande isola gelata, pochi abitanti e l’ostilità verso la Danimarca. Il film, “Sumé, the sound of the revolution” ha confermato in parte questa impressione cui si è aggiunto il fascino degli Inuit e della loro parlata. Preceduta dal bellissimo e poetico corto “In the shadow of the Tugtupide” abbiamo ascoltato la musica dei “Sumé” il primo gruppo rock groenlandese che, fra il 1973 e il 1976, ha inciso 3 album per la prima volta nella loro lingua.
Il documentario racconta a quasi 50 anni di distanza la “rivoluzione” prodotta in Groenlandia dalle canzoni politiche dei “Sumè” che per la prima volta nella grande isola “colonizzata” dalla Danimarca hanno parlato anche di rivoluzione e oppressione, aprendo la strada ad un governo autonomo.
Sarà stata una scelta del Festival quella di destinare il lunedì ai temi ambientali (anche negli incontri serali di Barmasse) e agli sguardi sul passato. Fatto sta che anche l’ultima proiezione, “Dear Werner: walking on cinema”, si è svolta sulle tracce di un viaggio del 1974 del regista tedesco Werner Herzog da Monaco a Parigi per scongiurare, con questa scelta, la morte della sua mentore, Lotte Eisner.
Il regista spagnolo Pablo Maqueda ha ripercorso gli 800 km del viaggio in compagnia solo di 2 telecamere, un cavalletto e i frammenti dei diari di Herzog raccolti nel libro “Sentieri nel ghiaccio” edito in Italia da Guanda, la cui lettura è apparsa utile, ma non indispensabile, per comprendere il senso di un atto d’amore di Herzog verso quella che è stata uno dei punti di riferimento di registi quali Fassbinder, Schroeter, Wenders, e ovviamente Werner Herzog, che gli hanno dedicato film come L’amico americano, Paris Texas e L’enigma di Kaspar Hauser.