Come risponderanno i consumatori all’introduzione sul mercato di prodotti a base di insetti? Lo abbiamo chiesto ad alcuni lettori de L’Avisio.
Ogni giorno siamo bombardati da un flusso continuo di notizie. Molte di queste vengono dimenticate poco dopo essere stata ascoltate o lette, sostituite da una nuova breaking news, destinata a fare presto la stessa fine. Alcune notizie però riescono ad evitare il destino del dimenticatoio e rimangono al centro del dibattito più a lungo. È il caso del recente via libera dell’Unione Europea alla commercializzazione di grillo domestico e verme della farina minore. In pochi sono rimasti indifferenti di fronte a questa novità. Chi ha manifestato curiosità, chi ribrezzo. Senza nessuna pretesa statistica, abbiamo chiesto ad alcuni cittadini di Fiemme e Fassa cosa ne pensassero dell’introduzione nell’alimentazione occidentale di farine e prodotti a base di insetto.
Elisabetta non ha dubbi: “Mi ha fatto molto arrabbiare scoprire che alcune sostanze provenienti da insetti fossero già utilizzate senza dichiararlo esplicitamente”, esordisce. Poi aggiunge: “La mia contrarietà nasce dal rispetto che ho verso gli animali. Non sono vegetariana, ma scelgo di consumare carne (poca) da allevamenti sostenibili e attenti. Per la stessa ragione non acquisto prodotti di aziende che facciano esperimenti su animali. Anche se non amo gli insetti, sono convinta che meritino lo stesso rispetto. Sono contraria a metodi di uccisione, come l’essiccazione, crudeli e violenti. Non mi sentirei in pace con me stessa all’idea di mangiare qualcosa prodotto attraverso la sofferenza di un essere vivente. Per non parlare del disgusto che l’idea di mangiare un insetto mi provoca. Ci aggiungo le preoccupazioni su quali possano essere gli effetti per il nostro organismo, non abituato a questo tipo di alimento. Sono tanti, quindi, i fattori che mi fanno pensare che questa novità non sia affatto una buona cosa”.
Anche Maria è scettica: “Non credo che assaggerò mai un cibo contenente insetti. Così come non mangerò mai rane, lumache, anguilla… Probabilmente è un mio limite, ma di fronte ad animali che mi provocano ribrezzo, non riesco proprio a pensare di trovarmeli nel piatto!”.
Non tutti sono però così riluttanti. Sara, per esempio, dice: “Credo si sia perso il focus del perché si sta discutendo dell’introduzione di alimenti a base di insetti. Si tratta di una farina con un alto contenuto di proteine, che, se messa a confronto con altre carni, come quella bovina, in termini sia di allevamento che di macellazione, richiede meno consumo di risorse, in particolar modo idriche. Detto questo… io la assaggerei? Credo di sì, per curiosità. Però sotto forma di farina, così sarebbe difficile “ricondurla” all’animale in sé. Questo è di fatto è il dilemma morale di ogni consumatore di carne: noi acquistiamo il pollo in una vaschetta, ma se vedessimo gli allevamenti e la macellazione, forse non saremmo così propensi a mangiarlo, e parlo da onnivora”. Sara prosegue: “Sul tema si sono presto diffuse fake news: non credo in nessun intento impositivo. Ricordiamo che l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, nasce dalle ceneri della mucca pazza, quindi ha come obiettivo la sicurezza e la trasparenza. Inoltre, visto il suo alto costo, la farina di grilli non verrà nascosta nei cibi! Vedo le polemiche attorno a questo tema come l’ennesimo tentativo di polarizzare l’opinione pubblica”.
Anche Tatiana è sulla stessa lunghezza d’onda: “Non ho al riguardo alcun pregiudizio né resistenza. Non solo perché estranea all’ostinato (ed a mio parere, ottuso) rifiuto, avendo sempre accolto ed amato la varietà culturale, e quindi alimentare, ma anche perché si rende più che mai necessaria l’introduzione di fonti proteiche meno impattanti a livello ambientale e che possano soddisfare la richiesta alimentare di questa Terra drammaticamente sovrappopolata. L’unica mia preoccupazione è di tipo etico: studi recenti stanno rivelando la capacità emotiva di alcuni insetti, non limitata al sentire di base legato alla mera sopravvivenza, ma con uno spettro d’emozioni, forse primitivo, ma più ampio e complesso. Se ciò riguardasse anche i grilli, mi rattrista il pensiero che il crudele sistema umano d’allevamento intensivo coinvolga ora anche questa specie”. Tatiana non vuole farne però una questione culturale: “Non sono patriottica, non me ne importa nulla del sovranismo sotto tutti i punti di vista, anzi, lo avverso tenacemente, non mi sento investita della missione di proteggere e tutelare “identità”, concetto a mio parere abusato per i più beceri intenti, e che è per sua natura volatile ed in costante mutamento ed evoluzione. Quindi, non sbraito all’attentato contro la nostra sacra appartenenza alla razza italica, né contro la cucina e le tradizioni italiane, né a complotti internazionali”. Sui possibili rischi per la salute dice: “Se il processo produttivo e di conservazione è gestito correttamente, questi potenziali rischi sono abbattuti, e non diversi da quelli che riguardano ogni altro cibo. Ingurgitiamo ogni giorno e senza una piega – nonostante l’evidente dannosità – una quantità immensa di schifezze iper-zuccherate, stracolme di microplastiche e metalli pesanti, imbottite di molecole chimiche cancerogene per migliorarne gusto, aspetto, durabilità, grassi saturi all’eccesso… credo che il problema, quindi, non siano i grilli”.
Michele nella sua vita ha viaggiato molto. In giro per il mondo non si è mai tirato indietro neanche di fronte ai cibi più insoliti per un europeo. Ha mangiato cavallette e scorpioni e in Papua ha addirittura assaggiato le larve semicrude. “Premetto di non essere un esperto o uno scienziato. Sono solo un viaggiatore che si è confrontato forse più di altri con tradizioni e culture differenti. Di fronte a un cibo nuovo le resistenze sono soltanto psicologiche. Resistenze che sono più facili da superare se gli insetti sono macinati in farina e non riconoscibili nel piatto. Ma al di là dei gusti personali, credo che alla base della questione ci sia un ragionamento molto più ampio. Stiamo vivendo cambiamenti globali che ci mettono di fronte a delle scelte. Tra qualche anno sulla Terra saremo 9 miliardi. Nove miliardi di persone che dovranno mangiare e bere. Oggi un’altissima percentuale di cereali prodotti a livello mondiale serve per nutrire gli animali che poi mangiamo. Per non parlare delle risorse idriche destinate agli allevamenti. La terra, poi, sfruttata fino all’inverosimile, non è più produttiva come in passato. Basta guardare documentari come “Il sale della Terra” o “Home” per rendersi conto che non si può più fare finta di nulla. Io continuo a preferire la polenta con lo spezzatino a un piatto a base di insetti, ma sono consapevole che servono alternative ad abitudini che non sono più sostenibili. Sono convinto che i giovani faranno meno fatica ad adeguarsi al cambiamento rispetto a noi, nati in un’epoca di passaggio e pertanto spaventati e scettici di fronte alle novità”.
Monica Gabrielli