Pubblicato nel 2010
Già a prima vista si capisce che Isidoro Piazzi non è un tipo qualunque. Classe 1926, vivaci occhi azzurri su un corpo minuto, ma ancora forte e agile a dispetto dell’età. A Masi e in tutta la Val di Fiemme lo conoscono tutti come “il Doro”. È facile incontrarlo in giro con il suo fuoristrada o il trattore appena il tempo lo permette, perché anche se in pensione da ormai diversi anni, il Doro non è certo il tipo che ama starsene con le mani in mano seduto in poltrona davanti alla stufa.
Quarto di otto figli, è nato a Medil (Moena), ma «A undici anni venni a Masi per vivere con la sorella di mia madre, Matilde, e suo marito Battista che mi hanno cresciuto e voluto bene come il figlio che non hanno mai avuto. In quella casa vivo tutt’ora, anche se l’ho già ristrutturata due volte, nel ‘65 e nel 2004», racconta Doro. Intanto che scarica la legna dal camion o si concede una breve pausa fra una fresatura e l’altra del campo, si lascia andare ai ricordi di quando, ad esempio, era a Milano nel ‘48 con l’aviazione ed era stato scelto insieme ad altri quattro giovani per frequentare il corso per piloti a Roma. Poi una caduta dal camion gli danneggiò l’udito e fu riformato.
«Ritornai subito a Masi e nel ‘53 sposai la Lina , così diversa da me, che certe volte mi chiedo come mai siamo ancora insieme dopo tutti questi anni, ma forse è proprio perché ci compensiamo». E mentre lo dice lo sguardo sornione si addolcisce. Boscaiolo, carpentiere, agricoltore – l’Azienda Agricola Isidoro Piazzi ha chiuso ufficialmente i battenti solo con il nuovo millennio. Doro ha sempre avuto una vita piena dall’alba al tramonto e anche oltre. Il suo segreto: una salute di ferro e una vita sana, all’aria aperta oltre a una gran voglia di lavorare.
Decisamente favorevole alla tecnologia e alle macchine, è stato il primo ad avere una falciatrice elettrica con la quale per circa 5 anni ha tagliato praticamente tutti i prati dei dintorni «Facevo anche 60-70 km a piedi e lavoravo per 15-16 ore, prima come carpentiere e poi nei campi. E per risparmiare tempo, con quanto guadagnato come manovale, ho comprato la prima macchina per caricare il fieno e il primo essicatoio. Era un’azienda piccola, ma per allora, erano gli anni ‘60, all’avanguardia. Per arrotondare facevo anche trasporti di legna e letame per conto di privati e della Società Malghe e Pascoli (con lo stesso trattore che ho ormai da 40 anni)».
Ma è quando parla della sua unica “debolezza” che gli occhi si illuminano e diventano ancora più sornioni. Il passato di Isidoro Piazzi come bracconiere non è un segreto per nessuno e lui stesso non ne fa mistero. «Nel ‘45/46 molti di noi cacciavano di frodo per necessità: la carne di capriolo veniva arrostita per bene e poi messa in vasi di terracotta con il grasso di maiale. In questo modo si conservava per quasi un anno. Io lo facevo solo ad agosto quando andavo a falciare i miei prati a Bellamonte, un posto particolarmente ricco di caprioli, una tentazione».
Una tentazione che lo ha portato per ben due volte davanti al giudice, la seconda volta nel ‘65 per aggressione a pubblico ufficiale, un caso che ebbe molta risonanza sui giornali dell’epoca. «Un guardiacaccia disse di essere stato aggredito nei boschi sopra Bellamonte e siccome girava voce che io facessi bracconaggio proprio lì, il giorno seguente le autorità vennero da me per avere spiegazioni. Il guardiacaccia affermava di essere stato colpito da un uomo con una ferita sulla fronte e per pura sfortuna io il giorno prima ero caduto dalla moto per evitare un bambino in bici. Per fortuna al momento dell’aggressione stavo falciando i prati di gente di Masi che testimoniò in mio favore e fui assolto anche questa seconda volta. E pensare che proprio quell’anno avevo deciso di fare la licenza di caccia…».
Elisa Zanotta