È lo sguardo a fare il fotografo. Più della tecnica. Ancora più della qualità della macchina. Senza dubbio, più della realtà che viene immortalata. La differenza la fa il modo di vedere. La capacità di scorgere nelle forme – siano esse umane o naturali, architettoniche o paesaggistiche – quel qualcosa di invisibile agli occhi altrui.
Questo modo di vedere, che lo ha portato ad essere un professionista noto e stimato anche fuori dai confini italiani, Pierluigi Orler racconta di averlo imparato dal papà. Non vedente. “Sembra incredibile – ricorda -ma è stato mio padre, che era diventato cieco a seguito di un incidente sul lavoro, a insegnarmi a guardare veramente le cose: ricordo che mi portava in montagna e mi chiedeva di fotografare. Lui che non poteva più vedere, mi ha reso un attento osservatore: sapeva indicarmi cosa cercare e come guardare, un approccio alla realtà che mi ha sempre accompagnato nel mio percorso professionale”.
Questa capacità di vedere oltre, Orler l’ha sviluppata poi in anni di viaggi in giro per il mondo per le migliori riviste italiane del settore. “In pochi giorni dovevamo realizzare dei reportage capaci di raccontare l’essenza di un luogo. Non potevamo permetterci di aspettare le condizioni ideali per fotografare. Dovevamo in ogni situazione riuscire a trovare il meglio; è stata un’ottima scuola per me”.
I suoi scatti dello Yemen, prima che venisse devastato dalla guerra, o dei villaggi del Borneo dove vivevano gli ultimi tagliatori di teste, così come quelli delle Rocky Mountains, una delle più vaste catene montuose della terra, attraversate in elicottero lo hanno fatto conoscere e apprezzare a livello nazionale, e non solo.
“Non ho mai voluto – racconta il fotografo – specializzarmi in un unico settore. Mi piace diversificare il mio lavoro, trovare un occhio nuovo nel guardare un piatto, uno oggetto di design, una persona, un gesto sportivo o un paesaggio. Ciò a cui ho sempre puntato, invece, è il riuscire a lasciare una firma in ogni mio scatto: mi riempie d’orgoglio quando qualcuno mi dice di aver riconosciuto una mia fotografia”.
Il progetto che più ha permesso a Orler di dimostrare la sua capacità di reinterpretare le geometrie degli spazi, rendendo evidente che l’artista ha davvero un altro modo di guardare le cose, è la SnowArt, nome dato dal Museo di Arte Moderna di Rovereto alle sue fotografie dei paesaggi innevati. Immagini che hanno catturato anche chi di neve e montagna se ne intende, Reinhold Messner, che ha acquistato uno dei lavori di Orler per una delle sedi del suo Museo della Montagna in Alto Adige. La neve, così uniforme e uguale a sé stessa agli occhi dei più, assume, grazie all’obiettivo di Orler, forme inedite. Diventa sinuosa, ammiccante. Luci, ombre, forme del manto candido come pennellate di un artista.
l critico fotografico Riccardo Mutti ha paragonato uno scatto di Orler a un quadro di Lucio Fontana, l’artista dei tagli sulle tele. Paragone azzeccato, perché sono squarci sulla realtà quelli che propone il fotografo predazzano. Quasi come se esistesse un velo da sollevare per scoprire cosa c’è davvero davanti ai nostri occhi incapaci di vedere.
Lo stesso pensiero lo si ha ammirando le sue fotografie della fioritura di Castelluccio di Norcia: anche qui il suo sguardo d’artista reinterpreta colori e forme della natura, realizzando quelli che sono a tutti gli effetti dipinti fotografici. Questa sua capacità è riconosciuta a livello internazionale, tanto che dal 2010 Orler è tra i dieci ambasciatori italiani di Fuji Film, per cui ha partecipato anche a un progetto di racconto fotografico, poi concretizzatosi nel libro “Ricordi di guerra, sguardi di pace”, che ripercorre sentieri, confini, trincee, forti della Prima Guerra Mondiale in Trentino.
Anche nel mondo della fotografia sportiva, Orler è un nome noto: i suoi scatti sono più volte rientrati tra i migliori al mondo. Il Covid ha fermato alcuni progetti a cui il professionista predazzano stava lavorando, in particolare una mostra fotografica che avrebbe dovuto tenersi a Parma nel 2020 dedicata alla onlus “Amici della Sierra Leone”, uno sguardo non stereotipato sul Paese africano, un modo di raccontare un pezzo d’Africa che con dignità sta cercando di costruire un futuro migliore. La speranza è che, ora che la situazione sanitaria sta migliorando, ci sia l’occasione di riproporre questo progetto benefico per raccogliere fondi per l’associazione parmense che si occupa di costruire pozzi, scuole, ponti ed edifici in un Paese devastato da una lunga guerra civile.
Nel frattempo, Orler non si ferma: “Voglio rilanciare il mio progetto di SnowArt e continuare a raccontare a modo mio la realtà. Ciò che conta è non adagiarsi, ma cercare sempre nuovi stimoli per non stancarsi”. Ai giovani che sognano una carriera di fotografo come la sua, Orler consiglia: “Fondamentale è capire se c’è davvero passione o se si è “abbagliati” da quella che rimane una figura professionale che affascina. Chi davvero vuole fare questo lavoro deve prima di tutto studiare i grandi interpreti di quest’arte. Dopo aver appreso la tecnica, però è fondamentale trovare il proprio sguardo sul mondo. È quello che farà la differenza”.
Monica Gabrielli
FOTO: Orler Images