Pubblicato nel 2015
Mario Cemin, per tutti il Mario del Valés, oggi ha 86 anni. E una vita intera da raccontare. Vita che scorre parallela a quella del rifugio Capanna Passo Valles, aperto nel 1933 da Enrico Cemin, papà di Mario, che ebbe un’intuizione di quelle che precorrono i tempi. All’epoca il passo, infatti, era raggiungibile soltanto da una mulattiera. Il turismo come lo intendiamo oggi sarebbe arrivato solo molti anni dopo. Inizialmente il rifugio non era altro che una costruzione in legno semplice e spartana, sull’altro lato della strada rispetto alla posizione attuale.
Mario aveva appena 4 anni eppure ricorda ancora il trasloco fino al Passo e i primi anni di vita in quota. Vita non facile nemmeno per i bambini (Mario e i suoi due fratelli, Anna e Angelo): nei primi anni non c’erano luce né acqua corrente, le comunicazioni e i trasporti erano complicati e richiedevano tempo. La scuola più vicina era a Paneveggio. Compagno di giochi, e di lavoro, Bari, il primo dei molti cani San Bernardo (circa una ventina) che Mario negli anni ha avuto a fianco a sé. Il cane trainava il carretto d’estate e la slitta d’inverno per andare a prendere l’acqua alla malga Vallazza, un chilometro circa più a valle.
Rimasta sul Passo anche durante gli anni difficili della Guerra, la famiglia Cemin vide migliorare lentamente le condizioni di vita dopo la fine del conflitto: un primo provvisorio e precario collegamento telefonico, qualche lampadina accesa la sera grazie alle batterie prima e al generatore poi, una cisterna per l’acqua piovana che garantiva l’approvvigionamento alle stanze del rifugio, la strada sempre più accessibile. Piccoli lussi per l’epoca e il luogo, ma che costavano ancora molta fatica. Mario ricorda i lunghi viaggi a cavallo fino a Moena per ricaricare le batterie: un giorno per arrivare a destinazione, la notte trascorsa in stalla e un altro giorno per tornare al rifugio. In cucina in inverno la neve veniva messa a sciogliere nelle pentole.
Oggi il rifugio, gestito da uno dei figli e dai nipoti, è collegato con il mondo intero grazie a Internet e ai social network: un modo di comunicare lontano dalla storia di Mario, che rimpiange le lunghe serate trascorse a giocare a carte con gli ospiti del ristoro.
Seduto sulle panche in legno che ricordano la semplicità della struttura originaria, anche se il nuovo rifugio, ampliato nel 1990, è ormai confortevole ed elegante, Mario è quasi sempre presente. Pronto a ricordare i difficili ma bei tempi passati. A raccontare come è cambiato il turismo, sempre più legato a permanenze brevi. A citare quanti metri di neve sono caduti negli anni (ogni giorno d’inverno, proprio come faceva come suo padre, misura e annota quanta neve è scesa): nel grafico esposto in rifugio spicca il leggendario 1951 con i suoi 19 metri di coltre bianca. Ma non sono tanto i numeri, quanto i ricordi di Mario a meritare di essere ascoltati. Lui, con la sua lunga barba e il suo inseparabile San Bernardo, memoria e storia di un passo.
