Quando le galline s’invitano a pranzo

Pubblichiamo qui l’articolo più recente della rubrica ‘Mondo foresto’ di Guido Bonsaver, che per ragioni editoriali non abbiamo potuto inserire nel numero a stampa dell’Avisio.

La rubrica “Mondo foresto” è nata per caso tre anni fa, da una conversazione al bar, tra amici. L’idea era di buttar giù qualcosa a cavallo tra passato e presente, tra locale e globale (visto che chi scrive abita lontano): divertente, se possibile. Tutto facile. Poi ci s’è messo di mezzo il mondo. Prima il Covid, e ora l’Ucraina. Entrambi ci sono scesi addosso come una cappa di piombo, come quei temporali estivi che si vedono arrivare annunciati da folate di vento seguite da nuvoloni giganteschi, neri di pioggia, che oscurano il cielo per poi illuminarlo a tratti, con i guizzi dei lampi. Il bello dei temporali estivi è che durano poco. Ma a noi è toccato l’opposto. Il primo è durato due anni, e ora il secondo, magari più lontano (i morti li contiamo alla televisione, non sui giornali locali), ma altrettanto pauroso, cupo, distruttore. Come si fa a divertirsi, a essere leggeri, quando attorno a noi tutto assume la pesantezza del piombo? Eppure è necessario. Se non si trovano spiragli di luce, se non si spera che ritorni il sereno, tanto varrebbe chiudere baracca e burattini e andare a fare gli eremiti. Cosa non facile, del resto, ora che non c’è una montagna senza un bar d’alta quota.

E allora parliamo delle galline che s’invitano a pranzo. C’è un bel detto in lingua inglese: “Turkeys voting for Christmas”, che si può tradurre con un “I tacchini votano a favore del Natale”. È legato al fatto che tradizionalmente nelle isole britanniche si festeggia il Natale con un pranzo a base di tacchino. L’espressione la usò un politico inglese negli anni Settanta per condannare una scelta autolesionistica del suo partito, e da allora è diventata popolare in tutto il mondo anglofono (anche se gli americani il tacchino lo mangiano a novembre, nel Giorno del Ringraziamento). Immagino che l’equivalente italiano sia “Darsi la zappa sui piedi”. Ma il detto inglese funziona meglio perché uno la zappa sui piedi può darsela per sbaglio, mentre i tacchini a favore del Natale fa pensare a una riunione in cui i migliori rappresentanti della specie discutono il da farsi, soppesano ogni opzione, e alla fine decidono all’unisono che festeggiare il Natale sia una cosa giusta. È, insomma, una bella metafora della capacità umana di essere idiota.

Sbaglierò, ma non ho ricordo di aver visto molti tacchini al pascolo nelle radure o a fondovalle in Fiemme e Fassa. Non ricordo nemmeno quando ho assaggiato il mio primo tacchino (chiedo scusa ai lettori vegetariani per l’argomento). Ricordo solo che la mia prima impressione, quando fui invitato a un inglesissimo pranzo di Natale, fu di preoccupazione. La vista su un grande vassoio al centro della tavola imbandita di quello che a me appariva come un enorme gallinone gonfiato con chissà quali estrogeni aveva qualcosa di sinistro. Come se a un cannibale si presentasse un pranzo a base di culturista fresco di palestra e gonfio di farmaci proibiti. Tra l’altro, negli anni ho scoperto che, se non si è bravi cuochi, il tacchino arrosto diventa più stopposo della segatura. Ma sto divagando. Tutto questo per dire che bisogna modificare il detto, se lo vogliamo usare. Non abbiamo familiarità con i tacchini. Da qui, l’idea di passare alle galline.

Un pollo che s’invita a pranzo, non funziona male. Un equivalente in predazzano potrebbe essere: “Le galine che le se envida a disnàr”. È una bella metafora della potenziale idiozia di noi umani, altro che tacchini e polli. In fondo, anche le tragedie citate in apertura serbano tracce d’idiozia congenita. Il più grande centro per lo studio sui virus, in Cina, è a Wuhan, la città da dove è partito il Covid. Ora, se lavori sui virus animali (il Coronavirus viene dai pipistrelli) magari avrebbe senso costruirti il laboratorio in un luogo isolato, tanto dagli animali quanto dagli umani, tanto per andare sul sicuro. E invece no, un bel gruppo di tacchini scienziati, qualche anno fa, ha deciso di costruirlo nel pieno centro di una città di undici milioni di abitanti. Non solo, lo hanno costruito accanto al mercato della carne, enorme, dove uno può trovare tutti gli animali che vuole, morti e vivi, in gabbia, pronti per la padella o per diffondere qualsiasi virus che dovesse scappare da una finestra del Centro di Virologia. Una decisione da tacchini natalizi per cui tutto il mondo ha pagato e sta ancora pagando, con milioni di morti, una recessione mondiale e il terrore di un nuovo morbo. Aggiungo solo che il Centro di Wuhan mica l’hanno chiuso, no, e del resto come quello ci saranno chissà quanti altri centri e situazioni simili, sparsi in giro per il pianeta.

Quanto all’Ucraina, qui il tacchino per eccellenza si chiama Vladimir Putin. Certo, è facile per tutti parlare con il senno di poi, ma la sua tragica idiozia, nel pensare di poter arrivare a Kiev con una colonna di carri armati e da lì festeggiare la conquista di un vasto paese democratico è oggi un dato di fatto. Decine di migliaia di morti, milioni di profughi, città rase al suolo: tutto perché una singola persona ha creduto nella propria stupidità, circondato da cori di tacchini in divisa a dargli ragione.

Ecco, forse la leggerezza, il divertimento, in questi tempi cupi, hanno senso se servono a ricordarci il tacchino che è in noi. E se bussano alla vostra porta e si presenta una gallina che s’invita a pranzo, offritele un bell’insalatone con il granoturco, e cercate di convincerla a starsene alla larga dagli umani. Saper riconoscere la propria idiozia può aiutare a capire cosa è veramente giusto in noi e negli altri, e a dargli spazio.

Guido Bonsaver

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