Non è più il momento di stare a guardare: bisogna diventare attori del cambiamento, guidandolo e non lasciandosi trascinare in modo passivo. E in questa transizione, ormai in atto, le organizzazioni non profit avranno un ruolo sempre maggiore, perché il lucro non può più essere l’unico obiettivo. Ne è convinto Gianluca Salvatori, segretario generale di EURICSE (Istituto Europeo di Ricerca su Impresa cooperativa e sociale, nato nel 2008 a Trento) e di Italia Sociale, fondazione nazionale che si pone l’obiettivo di aumentare le risorse private da dedicare a iniziative e progetti sociali.
Salvatori, con quale approccio dobbiamo guardare al cambiamento climatico, economico e sociale in atto: rischio od opportunità?
Il cambiamento di per sé è neutro: sta a noi decidere come viverlo. Certo è che, di fronte a una complessità come quella attuale, bisogna evitare di guardare alla realtà con un monocolo: serve uno strumento che ci permetta di affrontare la transizione da più prospettive. A livello internazionale ci si sta muovendo proprio in questa direzione. La Commissione Europea non si pone più, come era stato con la strategia di Lisbona del 2000, la competitività economica come principale obiettivo. Ormai si è capito che è fondamentale perseguire uno sviluppo economico e sociale più equilibrato: il lucro non può essere l’unico scopo. I due assi strategici su cui costruire questo cambiamento di paradigma sono la transizione ecologica (il cosiddetto green deal, o Patto Verde) e la transizione digitale. Per entrambi gli obiettivi – e proprio perché si sta sempre più andando oltre il concetto di solo lucro per puntare anche al benessere individuale e collettivo – le organizzazioni non profit sono un attore non più marginale, ma centrale. Il concetto di capitale da far agire si amplia, quindi, e include anche il capitale ambientale, umano e sociale.
A livello di obiettivi sovranazionali la direzione sembra, quindi, tracciata, ma lo è a tutti i livelli?
La transizione che stiamo vivendo ha necessariamente a che vedere con il tema della responsabilità, intesa a 360°: responsabilità ambientale, sociale, intergenerazionale… Non basta limitarsi a affrontare il cambiamento da un punto di vista climatico, bisogna agire su più fronti. Come detto, a livello internazionale gli orientamenti vanno in questa direzione. A livello di singoli Stati, esistono diversi livelli di impegno e convinzione (e in Italia, soprattutto a causa dei ripetuti cambi di Governo, si stenta a dare continuità alle azioni intraprese). Nelle imprese private assistiamo a un movimento massiccio che va nella direzione di una maggiore attenzione alla sostenibilità. È ormai un tema che fa parte del linguaggio aziendale: c’è chi lo fa per convenienza, chi per reale convinzione, ma è innegabile che ci sia un cambiamento in atto. Anche la finanza, del resto, si sta adeguando: ormai la maggior parte degli investitori sceglie fondi ESG, cioè che tengono conto delle politiche ambientali, sociali e di governance. Infine, ci sono i singoli individui: sicuramente a livello di opinione pubblica c’è sempre più consapevolezza su questi temi, in particolare tra i giovani. Ciò si riflette sulle scelte di vita, professionali e di consumo. Ovviamente ad ogni livello c’è chi traina e chi segue, ma ormai è diffusa pressoché ovunque l’idea che siamo di fronte a un’urgenza su cui dobbiamo intervenire.
In questa fase di transizione, quali sono gli errori da evitare?
L’atteggiamento di chi si accosta alle nuove dinamiche solo per dovere non contribuisce a un avanzamento serio e duraturo. Quindi, l’errore da evitare è quello di limitarsi a farsi trascinare dagli eventi: è fondamentale acquisire maggior consapevolezza e guidare la transizione in modo attivo. Anche guardare solo alla propria dimensione, invece che a quella complessiva, non aiuta a capire le reali dinamiche del cambiamento: il rischio è quello di trovare soluzioni che non incidano realmente.
Può darci qualche esempio di comportamenti virtuosi che si inseriscono in questo cambio di paradigma?
Sicuramente trovo molto positivo il diffondersi, in tutt’Europa e anche in Italia, delle comunità energetiche, cioè persone, enti o aziende che uniscono risorse e investimenti per condividere una fonte di energia rinnovabile. Ne stanno nascendo molte, alcune su base cooperativa, altre su iniziativa pubblica. La crisi energetica globale contribuirà di certo alla loro diffusione. Le trovo un esempio virtuoso perché sono la dimostrazione di come insieme si possa trovare la soluzione a un problema condiviso. Inoltre, trovo molto positivo il fatto che le organizzazioni non profit abbiano un ruolo sempre più centrale. Fino a qualche anno fa, ci si rivolgeva al terzo settore solo laddove lo Stato non riusciva ad arrivare, nei casi di povertà estrema, di grande criticità e disagio. Oggi la loro importanza è evidente in più settori: da quello ambientale a quello delle cure domiciliari, da quello della formazione professionale a quello dei beni culturali. Sono ormai molte le imprese sociali che lavorano con competenza e professionalità in molti settori economici. I numeri parlano da soli: sono in netto aumento addetti e fatturato. In altre parole, il terzo settore è un ambito vitale e sempre più centrale, capace di portare una visione innovativa e non incentrata sul solo lucro.
Il Trentino è a lungo stato considerato un modello nell’ambito della gestione comunitaria, basti pensare al ruolo fondamentale della cooperazione nello sviluppo della nostra provincia. È ancora così?
A livello trentino ci sono stati momenti di maggior innovazione, vivacità e considerazione del settore. È vero, in passato abbiamo espresso molto in termini di cooperativismo, ma oggi non basta averlo nel DNA: vanno ripensate le modalità operative e ricontestualizzati gli obiettivi e gli interventi. Bisogna andare oltre la tradizione: il Trentino è chiamato a una responsabilità maggiore, a fare di più. È necessario accelerare, essere più innovativi. Non basta percorrere le rotte sui quali a lungo si è navigato, servono inventività e innovazione.
In conclusione, a livello personale lei rimane ottimista nei confronti del futuro?
Stiamo affrontando una transizione difficile. Nel 2008 è scoppiata la crisi subprime negli USA, arrivata poi nel 2012 in Europa come crisi dell’Eurozona. Le difficoltà economiche si sono sommate alla crisi sanitaria nel 2020, e quest’anno è scoppiata una guerra alle porte d’Europa. Stiamo vivendo, di fatto, la somma di quattro crisi globali che hanno interrotto bruscamente trent’anni di stabilità. Credo che questi ultimi 15 anni segneranno la nostra storia per i prossimi decenni. Di fronte a ciò, è innegabile che il rischio che le cose vadano male esista. Eppure, si deve anche guardare all’effervescenza e alla creatività che sempre emergono nei momenti di crisi. Quando si rompe con il vecchio, si può lasciare spazio al nuovo che emerge: politica, ambiente, economia, politiche sociali possono essere ripensati con coordinate innovative. È il momento di trasformare il cambiamento in opportunità.
Monica Gabrielli