Abbiamo deciso di riproporre alcuni articoli del periodico l’Avisio. Si tratta di “pezzi” che ci raccontano come eravamo. Gli articoli sono antecedenti rispetto ai giornali digitali scaricabili gratuitamente dall’archivio contenuto ne L’AvisioBlog. Oggi vi proponiamo un’indagine sull’origine dei cognomi tedeschi a Moena, pubblicata nel 2002. Buona lettura.
“Elementi tedeschi nei cognomi ladini di Moena in Val di Fassa”. È questo il titolo della tesi con cui Rosanna March, ventisettenne di Moena, si è laureata lo scorso anno in lingue straniere presso la facoltà di lettere di Trento.
Rosanna ha scelto questo argomento per un interesse personale, visto che anche il suo cognome ha origini tedesche. Nella tesi, però, non ne ha potuto parlare perché è stato importato a Moena in un periodo recente, agli inizi del ‘900, che nella tesi non è stato preso in considerazione. “È stato un viaggio affascinante – racconta Rosanna – attraverso la storia dei cognomi di Moena, ma anche attraverso la cultura del paese e della Valle di Fassa”.
Riportiamo qui di seguito un capitolo della tesi di Rosanna in cui viene spiegata l’origine di alcuni cognomi di Moena e della Val di Fassa.
“Cognomi antichi e moderni di Moena” è un breve articolo, pubblicato sulla rivista trentina Pro cultura, scritto dal sacerdote fiemmese Don Lorenzo Felicetti. In esso, l’autore vuole dimostrare, attraverso un breve esame dei cognomi moenesi, che il ladino non ha subito l’influsso della lingua tedesca e che in esso non sono riscontrabili parole o nomi di origine germanica.
L’autore afferma: «I cognomi poi (fenomeno naturale) di Fassa e di Moena sono quasi esclusivamente italiani di forma e di origine. Là, sul confine dell’Alto Adige, in continuo contatto coi montanari del versante bolzanino, Fassa e Moena hanno quasi nessun cognome tedesco; e se, taluno ve n’è, è di data recente» (Felicetti, 1906, 164).
Nel suo lavoro l’autore elenca i cognomi più antichi di Moena, ritrovati in alcuni antichi manoscritti, che vanno dal 1200 al 1600, e i cognomi del tempo; fa anche un accenno ai cognomi che col tempo sono andati perduti. (…) Il lavoro di Felicetti deve essere collocato entro l’ampio dibattito sviluppato dalla questione ladina, che nel clima dell’inizio del 900 è particolarmente sentita.
Dei diciannove cognomi antichi che il Felicetti cita nel suo articolo, cinque sono di origine germanica: de Redolf, de Dorìgo, de Leonardo, de Gozalgo, de Bolcan. Dei 38 cognomi odierni, che egli menziona, quattro sono di sicura origine germanica: Chenetti, Deleonardo, Redolf, Volcan, mentre per quello che riguarda i cognomi Chiocchetti, e Ganz, l’origine germanica non è del tutto attestata.
Il cognome Zanoner è invece la forma germanizzata di Zanon, ‘Giovannone’. I Senoner, (Senoner è la forma originale prima che mutasse in Zanoner) provenivano dalla Val Gardena e si stabilirono a Moena circa alla fine del 700. Di origine germanica è anche il cognome Vaiet, ormai estinto, ma oggi ancora noto a Moena come soprannome di famiglia.
Se dal punto di vista filologico la posizione di Felicetti è alquanto discutibile, importanti invece sono gli esempi che riporta, in quanto forniscono informazioni riguardo ai mutamenti di grafia che subiscono con gli anni i cognomi, fino ad arrivare alla forma più recente. Eccone qui un esempio: “L’odierno cognome Chiochetti subì molte trasformazioni per arrivare a tal forma: da de Clòcha (località) nel 1378, divenne del Clocha (1477), Clocha (1525), Clochèttus (1530) di Chiochet (1598), indi Clochèt, Clochètto, Chiochèt, Chiochetto, Chiochetti. Si trova anche Giohet (1541) e Giocket (1545);” (Felicetti, 1906, 165).
In un articolo pubblicato su Mondo Ladino, scritto da padre Frumenzio Ghetta e da Guntram A. Plangg, dal titolo Un Elenco delle case e dei “fuochi” di Moena circa l’anno 1502, sono elencati i nomi e i cognomi di Moena intorno al 1502. Il documento preso in esame fu redatto da Domenico Zen, allora amministratore e giudice di Fiemme: si tratta di un elenco dei contribuenti e fa parte di una più ampia registrazione dei contribuenti della Val di Fiemme (escluso Castello), che fu compilata per ragioni di tassazione durante le guerre contro i Turchi.
In quell’anno a Moena furono registrati 54 “fuochi”. I “fuochi” non erano altro che dei gruppi famigliari che vivevano nella stessa abitazione e che formavano delle entità economiche indipendenti, dette “fuochi fumanti”, in quanto in esse si cucinava e si riscaldava la “muscia” (stufa a ole). Si tratta per lo più di piccole abitazioni, spesso malmesse. In genere la maggior parte della popolazione abitava in case costruite in legno di larice; poche avevano anche annesso il fienile o una stalla per il bestiame. Le case in muratura erano solamente tre, e solo due di queste di gente benestante erano fornite del fienile.
L’elenco rivela notizie interessanti non solo dal punto di vista storico, ma anche linguistico. I nomi propri sono, a parte qualche eccezione, riconducibili ai corrispondenti moderni. Molte volte si tratta di diminutivi, come Fily o Viliot che stanno per Vigilio, Jori che equivale al nome Giorgio (oggi appare come cognome), Biada, Lena e Libra, che corrispondono a Beata, Maddalena e Libera. Tra i nomi elencati due sono d’origine germanica Gotschalk e Vaet, ancora presenti a Moena come sorainom de ciasa, ovvero soprannome di famiglia.
Nell’elenco dei contribuenti troviamo anche dei nobili forestieri, i signori Fuchs, indicati col nome di “Frau Margaret Fux, Herr Sigmundt Fux, Herr Thomas Fux”. Questi risiedevano nel maso di Val, un casolare situato poco lontano dal paese di Moena, che apparteneva ai Canonici della Cattedrale di Trento, e che fu ottenuto dai Fuchs e subaffittato.
Nella descrizione dei fuochi troviamo 47 diversi nomi propri: sono i nomi degli affittuari, dei proprietari, i loro cognomi, soprannomi e patronimici. Il nome che appare più volte è Zuan, ossia Giovanni. I nomi appaiono come nome proprio o come patronimico, altri invece in combinazioni che rimandano a veri nomi composti, come possiamo vedere nei seguenti esempi:
Jacob + Zuan = Giacomo Giovanni, Jangiacum
Zuan + Piero = Giampiero, Janpiere
Zuan + Antonio = Giovanni Antonio, Janantone
In altri casi, in cui compaiono i nomi Jacob + Vaet o Jacob + Bertolutz, è difficile comprendere se questi siano veri e propri nomi composti o eventualmente soprannomi o cognomi.
L’omonimia era un fenomeno allora molto frequente, perciò spesso i nomi propri erano accompagnati da un’’ulteriore denominazione, che distingueva il referente da altri individui con lo stesso nome. Tali denominazioni erano fissate anche nei registri parrocchiali e nei protocolli del giudizio, e per tanto possono essere considerati i prototipi dei moderni cognomi. Solamente a partire dalla seconda metà del 500, dopo il Concilio di Trento, infatti, i parroci ebbero l’obbligo di compilare e tenere aggiornati i registri dei nati, dei morti e dei matrimoni. All’inizio del secolo XVI, questa consuetudine non era ancor ben consolidata ed era legata ad usi locali.
Nell’articolo di Ghetta e Plangg si sottolinea la difficoltà di distinguere i vari modi di designare le persone: «Si tenga presente, ad esempio, che una persona che all’anagrafe risponde al nome di Antonio Weiss viene denominata come Tone de Franzele de Tone da Tamion: “I ge disc de Tone, ma i se scrif Weiss”. Franzele è il predecessore diretto, mentre de Tone è “l’inom de ciasa” usato oralmente, che può riferirsi ad un antenato o ad altra designazione del casato. Ma il personaggio in questione, per brevità, può essere chiamato anche Tone de Tone» (Ghetta-Plangg, 1994, 285).
Quando la denominazione è binaria, il patronimico non sempre corrisponde al padre, ma può riferirsi ad un nome di famiglia, che può essere quello del nonno o di un altro predecessore. Quando invece la denominazione è a più livelli il primo nome è quello che indica il padre. Nella maggior parte dei casi che compaiono nel documento preso in esame, infatti, il primo elemento indica la paternità. Quando ci troviamo di fronte ad una denominazione a più livelli, i nomi indicati si riferiscono ad un periodo che può includere fino a tre generazioni.
Si tratta di sequenze patronimiche nelle quali possono apparire il nome del padre e del nonno o di qualche altro antenato: Piero de Nicola de Pelegrin, ossia Piero, figlio di Nicola “de Pelegrin”, dove “Pelegrin” può essere sia il nonno o un altro antenato che ha assegnato il nome al casato. De Pelegrin è il soprannome di famiglia. Il nome della madre appare poche volte e solamente nel caso si tratti di una vedova.
Le denominazioni patronimiche sono introdotte dalla preposizione analitica latina de: de Balthesar, de Cristan, de Gotschalk e così via. Talvolta la formula può diventare più complessa, quando accanto alla denominazione di persona è indicato anche il luogo dal quale proviene: Jori Bartlme de Paul de Falonga aus Eves, ossia Giorgio Bartolomeo, figlio di Paolo, proveniente da Vallonga della Valle di Fassa.
Quando le persone indicate nel documento vivono in frazioni, non sembra necessario utilizzare formule più complesse o specifiche, perché accanto al nome viene solamente indicato il luogo di origine: Ruedolff de Someda oppure Antoni de Sort (Someda e Sorte sono due piccole frazioni situate poco lontano dal centro di Moena). Le persone menzionate con lo stesso nome in realtà potrebbero non essere imparentate tra loro.
Accanto ai nomi citati, troviamo 14 toponimi aggiunti al nome, che indicano la provenienza o la località di residenza: si tratta di frazioni, villaggi o località generiche, per lo più fassane. Per esempio, Bordèla è una campagna situata nei pressi della frazione di Forno; Pontera, ossia salita, indica ancor oggi due località sempre di Forno, ed è anche un soprannome della famiglia Facchini. Pezé, oggi Pecé ‘abetaia’, è la frazione a nord di Moena.
Particolare è il caso in cui accanto al nome viene indicato anche il soprannome (a volte compare con la preposizione de altre volte senza). Il soprannome indica generalmente una caratteristica fisica o l’attività lavorativa dell’individuo menzionato: de Petenà (pettinato), del sartor (sarto). Altri soprannomi senza preposizione sono: Calza, Ferraza, Flemazin (della Val di Fiemme), Pezedel (diminutivo di Pecé, ‘piccola abetaia’), Pizin (piccino), Villa (forse è l’abbreviazione del cognome Sommavilla o Dolavilla).
Dello stesso tema tratta anche un articolo scritto in ladino da Maria Piccolin e pubblicato sulla rivista moenese Nosha Jent (fascicolo N.1, 2000), in cui sono presi in esame i più vecchi cognomi di Moena.
Dopo che l’autrice ha sottolineato come i cognomi scritti secondo le modalità odierne si trovano partendo dal 1600 in poi, cioè da quando per disposizione del Concilio di Trento i sacerdoti ebbero l’obbligo di compilare i registri parrocchiali dei nati e dei morti e dei matrimoni, nota che pochi sono i documenti compilati prima del 1600, importanti per la storia dei cognomi moenesi. Alcuni però risalgono al 1300.
Nei documenti scritti in latino, accanto al nome di battesimo appare il nome del padre oppure il luogo di provenienza o alle volte perfino il soprannome. In una vecchia pergamena, riguardante la costruzione di un ponte a Tesero, vengono elencati i nomi di quarantacinque Moenesi. Fra i cognomi qui elencati, alcuni sono andati persi, altri invece sono sopravvissuti fino ad ora; fra questi vanno ricordati: Bonaventura de Clocha (Chiocchetti), Zulianus Petenatus (Pettena), Vigilius e Blasius de Pezedo (Pezzé) (Piccolin, 2000, 11-17).
Particolarmente difficile è risalire al luogo di origine di un determinato cognome, anche perché spesso si possono trovare cognomi uguali che però non fanno riferimento alla stessa famiglia. Secondo l’autrice, il cognome Sommavilla, molto diffuso a Moena, potrebbe non essere un cognome propriamente moenese. Gli appartenenti a tale famiglia provenivano, molto probabilmente, dalla vicina Predazzo e si stanziarono a Moena intorno al 1500. In un vecchio manoscritto del 1424 vengono nominati due procuratori di Predazzo, che portavano tale cognome, mentre in un altro manoscritto più recente del 1510, tra i vejin de Moena, viene nominato un certo Simon de Sommavilla.
Erano chiamati vejin gli abitanti della Valle di Fiemme che godevano di particolari privilegi, derivanti loro, dall’usofrutto dei beni-della Comunità (Moena apparteneva e tuttora appartiene alla Magnifica Comunità di Fiemme). Il complesso di tali diritti e vantaggi era detto di “Vicinanza” o “Vicinia”. I vejin godevano di vantaggi consistenti come la protezione giudiziaria, il foro di valle, il legnatico, il diritto di caccia, pesca, pascoli alpini estivi ed altri vantaggi ancora.
In un altro documento del 1545 vengono invece ricordate le “case ed abitazion di quei de Sommavilla” situate “in capo alla villa di Moena”, nel rione di Ciaseole chiamato anche oggi “sa Somaìla”. Si può così supporre che una parte della famiglia dei Sommavilla di Predazzo si fosse trasferita a Moena. In realtà, il problema è più complesso di quanto possa apparire; esistevano infatti diverse località che portavano questo nome. Anche a Canazei e a Mareo, in Val Badia, esistevano due masi chiamati così. Non è facile quindi stabilire l’origine di un nome, anche perché i documenti di cui disponiamo sono pochi o sono andati perduti.
Di Franco Violi è l’articolo, intitolato Cognomi in Val di Fassa (1999), pubblicato dall’Associazione Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena sul I volume di “Atti e Memorie”. Si tratta di un lavoro piuttosto lacunoso e semplicistico, nel quale l’autore si limita a riportare l’etimologia, non sempre corretta, di alcuni cognomi, molti dei quali, a mio parere, non fanno propriamente parte dell’onomastica ladina, in quanto si tratta di cognomi recenti, importati in valle solamente qualche decennio fa, come ad esempio Leo, Grünwald, Lambach, Hochrainer, Ghisolfi, Farolfi e che quindi non appartengono a buon diritto alla cultura e alla tradizione ladina.
L’autore sembra non aver tenuto conto di opere che hanno rivestito un ruolo fondamentale per lo studio dell’antroponimia ladina ed anche trentina, quali ad esempio gli studi del Lorenzi, del Finsterwalder, del Sforza, ne tanto meno sembra aver consultato documenti o manoscritti antichi. La consultazione di documenti antichi è fondamentale in quanto ci permette di osservare come la grafia di un nome possa cambiare con il tempo, e come questa in passato fosse soggetta alla competenza grafica di colui che aveva il compito di registrare i documenti, il quale non seguiva ancora delle regole codificate di scrittura.
I registri parrocchiali erano scritti in latino, mentre gli altri documenti erano redatti o in italiano o in tedesco, per lo meno fino al 1819, fino a quando la Val di Fassa, per volere della Santa Sede, non passò definitivamente sotto la diocesi di Trento. Lo Statuto di Fassa dell’anno 1451 e il Regolamento del Giudizio di Fassa del 1554 sono scritti in tedesco, le sedute e le delibere dei rappresentanti della Comunità di Fassa, tenute dal 1550 al 1780, in italiano.
Lo scrivano del Giudizio di Fassa, che spesso era lo stesso cancelliere, doveva saper parlare e scrivere sia in italiano sia in tedesco, lingua, che aveva imparato a Novacella e poi nel ginnasio dei Gesuiti di Hall. In entrambi i casi si trattava di varietà dialettali.
Era prassi comune presso le cancellerie tedesche tradurre in tedesco i nomi, i cognomi ed anche i toponimi che si prestavano ad essere tradotti: Pera veniva tradotta con Stein, Rualp (Rio Bianco) con Weissbach, Sorapera con Obersteiner, Grava con Gruber, Fontana con Prunner ed altri ancora.
Spesso accadeva che i cognomi tradotti in tedesco rimanessero tali, altre volte invece si preferiva ritornare alla forma originale. È più probabile, ad esempio, che il cognome Prunner fosse la traduzione tedesca del cognome ladino Fontana, indicante colui che abitava nei pressi di una sorgente (“fontana” in ladino non ha, infatti, il significato di fontana, bensì di sorgente) e che non provenisse da aree tedesche, come invece sostiene l’autore (Violi, 1999, 242).
In un verbale della Comunità di Fassa, redatto nel 1571 e pubblicato nell’opera di Ghetta Documenti per la storia della Comunità di Fassa (1997) nell’elenco dei rappresentanti si cita un certo Zan Prunner di Vigo, in un’altra delibera di pochi anni dopo (1577) viene citato un certo Zuan da Fontana sempre di Vigo. Si può supporre si tratti probabilmente della medesima persona.
Secondo Violi il cognome Zanoner è un ibrido linguistico: al nome veneto o ladino Zanon si è aggiunto il suffisso tedesco er che dà al nome una patina tedesca. Il cognome Zanoner, presente soprattutto a Moena, è in realtà un cognome di Gardena. I Zanoner sì stabilirono a Moena alla fine del Settecento. Nelle delibere del comune di Moena, in cui per la prima volta si attesta tale cognome, appare la variante di Zanoner, Senoner. Con il tempo, il cognome è mutato e ha dato origine alla forma odierna. Sempre sui documenti si legge che ci vollero parecchi anni prima che la famiglia Zanoner potesse comprarsi il diritto di vicinanza ed essere considerata a pieno diritto della Magnifica Comunità di Fiemme.
Il cognome Ploner è molto ben rappresentato in tutte le valli ladine dolomitiche, ed anche in molte parti dell’Alto Adige; è difficile perciò individuare il suo luogo d’origine, anche perché numerosi sono i toponimi ladini che portano tale nome. La forma attestata più antica è Planer, poi mutata in Ploner. Alla parola ladina Plan, piano pianura, derivante dalla forma latina Plano, è stato aggiunto il suffisso tedesco er. È alquanto improbabile, data anche la scarsa documentazione, che i Ploner presenti in Val di Fassa provenissero dalla valle austriaca Defereggental (Violi, 1999, 244), dove si trova un luogo chiamato Plon, ma è molto più probabile, anche se non accertato, che i Ploner provenissero dalle vicine Val Gardena o Val Badia.
Anche per quanto riguarda l’origine di Oberthaler, ben presente a Vigo, si nota che, a differenza di quanto sostiene l’autore, non proviene da Merano, bensì da Castelrotto.
Il lavoro del Violi appare poco convincente anche dal punto di vista dell’etimologia dei nomi, in quanto spesso l’analisi etimologica risulta non corretta: il cognome Ghetta non è riconducibile al femminile del nome proprio medioevale Ghettus, Ghetto, forma aferetica del nome Arrighectus o Hughettus, ma piuttosto si tratta del diminutivo femminile del nome Domenico o dei matronimici Agata o Margherita, come sostengono Lorenzi (Lorenzi, 1992, 92) e Videsott (Videsott, 2000, 143).
Jori non deriva dal nome proprio Iorio, bensì dal nome Giorgio. Pescòl designa colui che abita ai piedi di un colle e non si riferisce quindi alla parola “pascolo, postura”. Planchesteiner non significa sasso piatto, bensì sasso bianco.
Bez non ha nulla a che fare con la parola “béz”, che in ladino significa ragazzo. Non si tratta nemmeno di un soprannome che indica l’aspetto giovanile del capostipite, come sostiene l’autore, ma è un cognome importato a Moena agli inizi del 900, dalle vicine zone dell’agordino, in provincia di Belluno. Si tratta della forma tronca del nome personale Bèzzo, la cui vocale della radice si pronuncia aperta e non chiusa, come avviene invece per la parola ladina “béz”.
Il cognome Chiocchetti non è riconducibile al verbo ladino “chiocir”, chiocciare, covare, bensì deriverebbe dal diminutivo di clocha, toponimo della Valle di Fassa. Anche nel comune di Trambileno esiste un abitato che porta il nome Clòche. Secondo Lorenzi, entrambi i toponimi trarrebbero origine dalla contrazione del nome Chadalhoh. Si tratta di un nome personale composto dalla parola “Kadal” derivante dall’antico alto tedesco “quat”, ‘cattivo’ termine usato anche per indicare l’antico popolo dei Quadi, e dalla parola “hoh”.