Un tuffo nel passato – Luigi Pederiva: profeta, anche in patria

Abbiamo deciso di riproporre alcuni articoli del periodico l’Avisio. Si tratta di “pezzi” che ci raccontano come eravamo. Gli articoli sono antecedenti rispetto ai giornali digitali scaricabili gratuitamente dall’archivio contenuto ne L’AvisioBlog. Oggi vi proponiamo un incontro con il pittore fassano di fama internazionale Luigi Pederiva, pubblicato nel 2002. Buona lettura.

Soraga Alta, fra le prime case, si intravede una costruzione gialla nascosta fra gli alberi. Sull’insegna si legge: “Locanda degli Artisti. Luigi Pederiva, mostra di quadri permanente”. Luigi Pederiva è un pittore di fama internazionale, nato e cresciuto nel piccolissimo paese di Soraga.

Con oltre cinquant’anni di mostre alle spalle ha girato tutto il mondo esponendo a Parigi (Salon des Nations), al Museo Internazionale di Los Angeles, a Roma, a Marsiglia, ad Atene, a Cannes e perfino a Tokio. Forse in pochi si rendono conto dell’importanza di quest’uomo di 87 anni.

La casa di Luigi è stata fino a pochi anni fa una locanda con venticinque letti. Rimangono ancora le tracce della sua vecchia funzione nell’entrata, una hall di dimensioni modeste. L’atmosfera è accogliente e una fievole luce lascia intravedere a malapena pareti coperte da quadri di tutte le dimensioni.

Luigi, meglio conosciuto a Soraga come “Igi”, si fa avanti lentamente e ci accompagna in una stanza più luminosa. È il suo atelier. In questo luogo, sembra rinascere. I suoi occhi rapidi e piccoli si alzano per guardare i suoi quadri e poi fuggono via mentre parla e racconta.

Igi è abituato alle interviste, giornali nazionali e internazionali hanno parlato di lui. Ci fa ascoltare un’ intervista di alcuni anni fa dove descriveva i momenti più importanti della sua vita. Poi improvvisamente si alza e comincia a parlare:

“Erano tempi duri quelli dell’artista, quanti sacrifici per l’arte. Fin da piccolo i miei genitori e i miei insegnanti hanno capito che l’unica cosa che riuscivo a fare bene era dipingere. A scuola, invece che ascoltare, disegnavo e disegnavo. Per questo, a tredici anni, mi hanno trovato un lavoro a Merano in una bottega di pittori e decoratori. Il sabato e la domenica andavo in laboratorio e dipingevo per conto mio. Era ed è una passione che nasce dentro, spontanea e naturale”.

Igi ha frequentato tre anni la scuola d’arte. Il suo non è mai stato un lavoro, ma una passione. Gira per la stanza e racconta. Intorno a lui lo scenario continua a cambiare. Spiccano paesaggi dai colori vivaci, fiori, montagne, prati e angoli di natura a cui lui ha saputo dare una luce nuova e diversa.

Dipinge soprattutto i paesaggi della sua terra: “L’argomento che ricorre sulle mie tele è la visione che nessuno guarda. Sono angoli di natura, prati boschi e fiumi. Vorrei illustrare la vita dei tempi passati, valorizzare la natura”.

Molti a Soraga lo descrivono come una persona schiva e chiusa. Lo hanno visto passare centinaia di volte col suo cavalletto sulle spalle per andare a catturare qualche scorcio o dettaglio che prima del suo sopralluogo pareva insignificante o scontato. “Uso tutti i colori, primari e secondari, perché di questi colori è fatta la natura”.

Ma non dipinge solo la natura del suo paese: “Amo gli impressionisti e mi piace imitarli”. Nudi femminili, volti di donna e paesaggi immaginari. “Vede quella? E mia madre. E quelle due donne? Sono… le ruffiane”.

Igi ha catturato momenti di vita a lui cari e ne parla con una vena di nostalgia, abbassa gli occhi e pensa. C’ è una tavolozza, appesa vicino alla porta del laboratorio, che cattura l’attenzione di tutti i visitatori. All’interno è disegnato il volto del Cristo crocifisso. Accanto alla natura si rivela, dunque, il volto del Creatore:

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“Credo nel creatore. Dipingo le sue creazioni. Ho un modo tutto mio di pregare. Non vado in chiesa, parlo coi fiori quando cerco un angolo incantato da dipingere e mi complimento con Dio. Gli dico: guarda che bravo che sei”.

Lui vede Dio come un artista supremo, ma crede anche nelle espressioni religiose pagane e ancestrali. Una sorta di connubio tra Dio, natura e superstizione.

“Vede questo quadro? Sono le bregostane, creature maligne della nostra tradizione. Le ho dipinte quando è morto Alessio, mio figlio. Era molto giovane e io ho pensato di essere vittima del malocchio. Così ho dipinto le bregostane, rievocando questi esseri cattivi a cui credevano i nostri avi”.

Poi Igi si alza e con passo ormai lento raggiunge l’armadio da dove estrae una teca: “Questi sono tutti i riconoscimenti che ho ricevuto. In questi giorni è in corso una mostra dei miei quadri a Bercellona”. Igi sfoglia gli attestati ad uno ad uno. Lo fa con orgoglio ma senza presunzione.

I suoi quadri vanno a ruba, solo a Soraga ce ne sono trecento. “Sa cosa significa trecento? Un quadro ogni due abitanti. Vuol dire che questa gente mi ha capito, che hanno una cultura, che mi apprezzano”.

Nella sua semplicità sembra dare molto più rilievo alla fama nel suo piccolo paese che a quella internazionale. Nemmeno lui sembra rendersi conto del nome che si è fatto: “Guardi, mi è arrivata una cartolina in questi giorni dal Metropolitan, sì dall’America, e mi hanno scritto: «Mancavi solo tu», esagerati”.

Luigi ha dipinto circa 4.500 quadri e continua ad esporre, anche se ormai non è più presente a tutte le sue esposizioni. Con la moglie Wanda ha instaurato una complicità particolare nella sua vita da artista. Lei lo ha saputo capire e lo ha sempre incoraggiato.

“Se non ci fosse stata mia moglie probabilmente mi conoscerebbero in pochi. Lei mia ha spinto ad andare avanti, a fare delle esposizioni, altrimenti io, col mio carattere, non sarei uscito da questa porta”.

Cosa manca a questo artista della sua frequentatissima locanda? “Ho bellissimi ricordi. I miei clienti ammiravano i miei quadri. Se a qualcuno ne piaceva uno in particolare, io lo tiravo giù e glielo appendevo dove voleva, così poteva guardarselo. Pochi andavano via senza una mia opera”.

Salutiamo Igi. Usciamo dalla stanza. Passiamo dalla luce alla penombra della hall. L’impressione è quella di aver guardato in un caleidoscopio pieno di luci, colori e riflessi. E di aver scoperto, forse, l’unico artista che è riuscito a diventare profeta nella sua patria.

Sabrina Rasom

Foto: Luigi Pederiva, da www.guidaalpinainvaldifassa.it

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