La sfida dell’energia

Siamo nell’attesa di capire quale sarà il futuro dell’umanità, almeno dal punto di vista della produzione di energia elettrica. Il domani sarà all’idrogeno? Materia e antimateria o qualche altra innovazione a metà tra le fisica e la tecnologia

La transizione energetica che prevede l’abbandono dei combustibili fossili – dal carbone ancora usato in molte regioni del mondo al petrolio – è una realtà a cui tutti ci si dovrà adeguare nell’arco di pochi anni e l’autonomia nella produzione di Gigawatt (che poi significa anche autonomia economica nazionale) dipende dalla buona volontà delle persone, dalle più o meno fortunate caratteristiche geofisiche di una nazione e dalla sua evoluzione culturale.

Queste sono di conseguenza le ragioni per cui sul tema paesi come Svezia, Norvegia, Svizzera e Danimarca sono molto avanti rispetto al resto del mondo. Saremo pronti a produrre energia pulita quando saremo chiamati a farlo dalle istituzioni e prima ancora dal nostro impegno civile e morale? E come?

Le nostre valli, come molte nell’arco alpino italiano, sono da sempre dedite alla produzione idroelettrica e le nostre dighe, con tutti i pro e i contro del caso, hanno fatto parte del grande piano energetico che il governo italiano mise in piedi con rara lungimiranza fin dal dopoguerra per garantire al paese un minimo di disponibilità elettrica a basso costo. Ci sono addirittura 4000 impianti idroelettrici sulle nostre montagne e ora a Milano se ne costruiscono di piccolissimi lungo i canali artificiali di irrigazione che abbiano un piccolo salto, anche solo di tre metri.

L’unica certezza che abbiamo è che da noi sarà pressoché impossibile vedere un parco eolico come quello del Monte Mesa che ci siamo abituati ad incrociare ad Affi in autostrada: al di là di ogni considerazione sull’impatto estetico e finanche naturalistico che le pale avrebbero sulle Dolomiti (dubitiamo peraltro che sia anche possibile costruirne in un sito protetto dell’Unesco), la morfologia delle montagne di Fiemme e Fassa non induce la circolazione di un vento costante tale da giustificare un parco eolico.

Certo, le prospettive ingolosiscono: a regime una sola pala è in grado di produrre tanta energia elettrica quanta ne fanno decine di campi di calcio costantemente illuminati da sole ma è un dato di fatto che le uniche pale sulle Alpi italiane che ci sia dato ricordare sono quelle di San Valentino, in Val Venosta dopo Malles, proprio sotto il Lago di Resia in una sorta di imbuto naturale dove il flusso di aria è costante.

All’estero invece il parco eolico del San Gottardo, poco sotto l’omonimo passo vicino ad Airolo in Svizzera, è piuttosto conosciuto: in questo luogo il vento si incanala nella valle tanto che aver reso possibile l’installazione di cinque torri dell’altezza di 98 metri e con pale lunghe 46 metri, installate a 2100 metri di quota. Queste pale sono in grado di regolarsi autonomamente in base alle temperature e alla direzione e alla velocità del vento e sono sufficienti per produrre energia per circa 5.000 economie domestiche, quindi quasi 20.000 persone.

Ci sono voluti 18 anni di battaglie legali Perché il parco potesse esseere costruito, seppur ampiamente ridotto rispetto alle misure previste dal progetto iniziale, a causa delle rimostranze degli ambientalisti. Altri parchi eolici alpini sono presenti ad Andermatt, all’Oberzeiring e al Plocken Pass in Austria.

Proprio un secondo progetto svizzero però potrebbe in futuro essere potenzialmente applicabile alla nostra realtà: è di pochi mesi fa, infatti, la notizia del via libera del governo della confederazione alla realizzazione del più grande impianto solare alpino nel Cantone di Glarus, non lontano dalle piste da sci di Laax. A 2500 metri di quota c’è una grande diga in cemento armato che ha prodotto un laghetto di alta montagna, il Muttsee, da cui si ricava energia idroelettrica.

Nelle vicinanze non c’è nulla: niente impianti di risalita, né villaggi ma solo un piccolo sentiero che collega la diga stessa al fondovalle. Tra pochi mesi però l’immensa parete esterna della diga Inverno 2021-22 (oltre 10.000 metri quadri di superficie che corrispondono a circa un campo da calcio e mezzo) verrà coperta da 5000 pannelli solari. Alla base della diga verrà realizzata una struttura con una piccola centrale che alimenterà 2,2 megawatt di potenza elettrica nella rete, generando 3,3 milioni di chilowattora di elettricità all’anno.

730 tonnellate di materiale da costruzione e moduli fotovoltaici sono già stati trasportati alla diga in elicottero e montati da squadre di operai specializzati. Lo stesso sistema sta per essere attivato anche sulla Diga dell’Albigna, in Val Bregaglia (a pochi chilometri dal confine italiano di Chiavenna) ed è già in funzione da tre anni sulla diga del Lago Yanqui a Huairou in Cina, sulle montagne sopra Pechino dove si svolgeranno alcune delle competizioni olimpiche dei Giochi Invernali 2022.

La realizzazione di questo progetto “Alpin Solar” è un coraggioso esperimento da parte di Axpo (il maggiore produttore svizzero di energie rinnovabili), di IWB (una delle principali società di distribuzione energia e acqua, oltre a mobilità e telecomunicazioni) e della catena di supermercati Denner che si è impegnata ad acquistarne l’energia elettirca per i prossimi vent’anni, puntando a soddisfare le esigenze dei suoi 820 punti vendita con fonti rinnovabili.

Questo impianto ad energia solare sfrutta al massimo la posizione in alta quota della diga che la eleva al di sopra delle nuvole, anche e soprattutto lontano dalla bella stagione tanto che è previsto che quasi la metà della produzione di energia avverrà in pieno inverno. I pannelli solari, infatti, lavorano meglio con le basse temperature esterne e sfruttano il maggior riflesso della luce sulla neve circostante, oltre al fatto che l’allineamento della diga è rivolta verso sud per avere più ore di sole.

La capacità degli Svizzeri di produrre energia elettrica “in montagna” però va ben oltre. 47.000 pannelli fotovoltaici infatti sono stati installati l’anno scorso su leggerissime strutture galleggianti che occupano circa un terzo della superficie del Lago des Tules, nel Canton Vallese, a 1810 metri di quota: il confine italiano del Gran San Bernardo e alla stazione sciistica di Verbier distano solo pochi chilometri.

Questa è la prima centrale solare galleggiante in alta quota del mondo e funziona tanto bene (nonostante le condizioni ambientali siano estreme con neve, ghiaccio, temperature polari d’inverno e 30°C in estate) che molti ricercatori credono che questo sistema possa rappresentare il futuro del fotovoltaico. Grandi centrali galleggianti per la produzione di energia elettrica si trovano già in Cina, ad esempio: l’acqua fredda del bacino di montagna raffredda i pannelli e, anche grazie al fatto che i raggi ultravioletti sono più intensi in alta quota, questo aumenta la capacità di conversione di energia anche del 50% rispetto allo stesso impianto montato in pianura.

Qui si contano 1400 moduli bifacciali (quelli inferiori riescono a percepire la luce solare riflessa sull’acqua), sostenuti da 36 strutture galleggianti in alluminio e polietilene ancorate sul fondo, e producono oltre 800’000 kW all’anno, abbastanza per rendere autonomo un piccolo villaggio della attigua Valle di Bagnes. Durante l’inverno, i pannelli – montati con una inclinazione di 37 gradi – permettono alla neve di non depositarsi.

Certo, nel nostro piccolo chiunque potrebbe installare sul tetto della propria casa una serie di pannelli fotovoltaici ma non tutte le valli alpine concedono ai propri abitanti il permesso di farlo per una questione estetica e di eterogeneità con l’ambiente naturale. Forse però non sapete ancora dell’esistenza sul mercato dei pannelli “solari mimetici” che hanno forma e colore simili a grosse tegole, indistinguibili all’occhio attento, da integrare direttamente nei materiali da costruzione.

Nicolò Brigadoi Calamari

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